sabato, Settembre 28, 2024 Anno XXI


Quando vide il tiro di Daniele scavalcare la traversa del Teatro dei Sogni e finire in tribuna Lorenzo emise solo un gemito. Non imprecò, non urlò, non se la prese neppure con Daniele, impietosamente ritratto dalle telecamere con lo sguardo attonito e colmo di lacrime trattenute, la maglia tirata sul viso. Attorno a lui il quartiere intero accompagnò il suo gemito con un silenzio irreale, quasi luttuoso. Neppure i laziali, che la diretta televisiva della Rai aveva posizionato sul trespolo del gufo, ebbero il coraggio di esultare. Perché quando passa la Storia ci si deve solo inchinare. Allo sconforto che pervase il suo animo Lorenzo fece seguire un moto di umana comprensione, di affetto per il povero Daniele che, a capo chino, riguadagnava la posizione. Se avesse potuto sarebbe sceso lì in campo ad abbracciarlo, a dirgli “dai, non è successo niente. Non è colpa tua se sei nato romanista e se chi è nato romanista prima o poi, attore o spettatore, queste esperienze è costretto a viverle”. Un attimo dopo Lorenzo era ancora lì a soffrire, a spingere la squadra immergendosi nei cori che l’audio del televisore, regolato per escludere gli inutili commenti tecnici, gli restituiva con una nitidezza da far impressione. I canti di un popolo oppresso dalla sorte, ma  non domo. Alla depressione che ottenebra la mente seguì in Lorenzo una sorta di “elaborazione del lutto”, la necessità di razionalizzare quello che viveva o, più prosaicamente, di “dasse pace”. Ripensò a se stesso nella fila di auto dopo Roma-Manchester all’Olimpico, stranamente sereno e rassegnato per quello che aveva visto. Si sentì affermare ai suoi compagni di avventura di allora, con una calma che solitamente non gli apparteneva, che il Manchester si era rivelato semplicemente più forte, che da una squadra simile c’è solo da imparare e che il Capitano non si regala a nessuno, figurarsi alla squadra più forte d’Europa. E allora, pensò Lorenzo mentre le immagini continuavano a scorrere sul video, perché sto soffrendo anche adesso? Se era tutto  già scritto e già deciso da tempo, perché ho la sensazione che mi abbiano appena amputato un arto? La risposta uscì dai suoi pensieri immediata e vibrante, al punto da superare la barriera silenziosa che si era imposto fino ad allora per trasformarsi in un urlo: “perché sono romanista, cazzo!”. Doveva aver gridato davvero forte Lorenzo, perché la porta si aprì di colpo e dalla soglia entrò sua moglie Lucia convinta di trovarlo in preda ad un malore. “Non fare così” lo rimproverò Lucia, “lo sai che abbiamo ospiti!”. Lorenzo rispose a mezza bocca un “sì, vabbé resta con gli ospiti che fra un po’ vi raggiungo”. E ci mancava pure quello. Pure gli ospiti ci si mettevano. Del resto a Lucia del calcio non importava nulla, e non certo da quella sera, e non poteva mica pretendere di confinarla da sola in salone, mentre lui requisiva il televisore. Gli “ospiti”, allora, nelle serate di Champions, erano diventati un’abitudine. Che poi Lucia avesse il vezzo, Lorenzo non sapeva se definirlo masochismo o sadico accanimento nei suoi confronti, di frequentare “solo” persone antipatizzanti romaniste restava per lui un autentico mistero. Nell’intervallo, in effetti, Lorenzo fece atto di presenza tra gli ospiti di Lucia, salutò tutti con cortesia e si sforzò di persino sorridere. Con un guizzo degno di Cristiano Ronaldo si sottrasse alla marcatura di Samantha, l’amica del cuore di Lucia, psicologa, che ogni volta tentava di analizzarlo, e strinse appena la mano di Giorgio, candidato al Municipio, ma in quale schieramento Lorenzo francamente ignorava, congedandolo frettolosamente per raggiungere l’improvvisato buffet e bersi almeno un bicchiere di aranciata. Fu solo allora che scorse, semisepolto tra i cuscini del più piccolo dei divani, Andrea che armeggiava con lo stereo fingendo di tenersi occupato. La presenza di Andrea in quel contesto meravigliò non poco Lorenzo che conosceva la passione di Andrea, non certo inferiore alla propria. Andrea lo strinse forte sussurrandogli in un orecchio “lo so che mi sto perdendo la partita, ma ero a Madrid e da allora quella”, disse indicando con un cenno del capo la moglie, “me la sta a fa scontà. E’ vero che Daniele ha sbagliato un rigore?”. Lorenzo a sua volta rispose solo con un cenno del capo. Se avesse iniziato a discutere di calcio pure con gli ospiti non era certo di passare il resto della serata in casa. I patti erano patti. La partita riprese e Lorenzo tornò al suo posto. Aveva smaltito il colpo e si sentiva preda di  uno strano ottimismo. E poi Spalletti l’aveva detto o no, che nel secondo tempo avremmo fatto i botti? Sotto i suoi occhi, però, la squadra iniziò a disunirsi e un minuto dopo il cambio di Pizarro con Giuly Tevez segnò il gol che mandava in frantumi tutte le illusioni che Lorenzo aveva coltivato fino ad allora. Questa volta la reazione di Lorenzo fu tutt’altro che silenziosa. Prima diede fiato ad una serie di imprecazioni, poi si unì ai cori che udiva dal televisore. Si esibì in un “Roma, Roma, Roma, core de sta città” per seguire con un amarissimo “Barbera e champagne” che non riuscì a completare sopraffatto dall’emozione. Al fischio finale sua moglie fece di nuovo capolino dalla porta e lo sorprese a ripetere “bravi, bravi, bravi, bravi lo stesso” e a mandare una serie di  baci a Daniele che, a capo chino, omaggiava i tifosi giunti fin laggiù.
Si erano fatte quasi le undici e un po’ per educazione, un po’ per i morsi della fame, visto che prima e durante la partita come suo solito non aveva toccato cibo, Lorenzo si riaffacciò in salone. La musica ambient messa su da Samantha avrebbe indotto chiunque al  suicidio. Lorenzo, seguito dallo sguardo vigile di Lucia, si sforzò di essere cordiale evitando di commentare la partita appena terminata. Quando però Adalberto, il professore universitario che  seguiva Lucia nella sua attività di ricercatrice, gli si fece incontro, Lorenzo intuì che stava per scattare una trappola. Adalberto, l’unico dei presenti che ancora gli dava del lei, si posizionò, infatti, al centro del salone per prendersi la massima attenzione e con tono ironico disse a Lorenzo: “certo che lei è proprio un tipo curioso. Alla sua età e con la sua posizione” – entrambi i “sua” erano volutamente calcati nel tono – “ancora si infervora per quattro ragazzotti in calzoncini. Non è un po’ troppo cresciuto per giocare ancora con le figurine?”. Lorenzo meditò solo un attimo la risposta sentendosi tutti gli occhi addosso. “Io non sono mai cresciuto, lo ammetto. Sono un tifoso della Roma. Per quella maglia mi appassiono, combatto e me ne vanto. Ma lei, esimio professore, me spiega, visto che è già morto, che campa affà?”. L’abbraccio di Andrea lo travolse e lo protesse dai dardi infuocati che, all’istante, partirono dagli occhi di Lucia…

L’As Roma è il nostro grande amore
la sosteniamo lottando con ardore
ovunque andrai mi troverai al tuo fianco
per questa maglia combatto e me ne vanto
la la la la la Roma la la la la la la Roma la