sabato, Ottobre 19, 2024 Anno XXI


da pagineromaniste.com

Walter Sabatini, ex direttore sportivo della Roma, è intervenuto in conferenza stampa, accompagnato dai dirigenti Mauro Baldissoni, Tonino Tempestilli e Bruno Conti, per spiegare il suo addio al mondo giallorosso. Queste le sue parole:

Walter SabatiniInizia Sabatini: “Intanto grazie, mi fa piacere che siete in molti. La prima volta che sono entrato qui c’era alta pressione e stavo meglio, ora l’umidità mi comprime. Con l’alta pressione pensieri e parole venivano più efficacemente, ricordo male la mia prima conferenza stampa, a quello faccio riferimento. Avrete cose da chiedermi, non è un bilancio definitivo, non è un consuntivo, la squadra è ancora in attività, ci sarà un’assenza fisica, ma una presenza intellettuale e psicologica, starò dietro a tutto quello che succederà, mi sentirò partecipe. La supposta sconfitta sul fatto che non abbiamo vinto può essere ancora ribaltata. La squadra è competitiva, allenata in maniera perfetta da Spalletti, si può fare bene in campionato. Ho fatto un ciclo lungo di 5 anni, con un’osservazione che faccio costantemente dentro di me: abbiamo una struttura che funziona, di gente che sa quello che fa. Da un punto di vista emotivo è mancata la convocazione al Circo Massimo dei tifosi della Roma. Non era tanto un sogno, ma una speranza che si è accesa saltuariamente rispetto alle squadre scese in campo in questi anni. Ho pensato che prima o poi le squadre di questo quinquennio avrebbero potuto competere per un risultato eclatante, la vittoria dello scudetto. E’ un grande rammarico, c’è frustrazione per questo. Ma non è rabbia, è una tristezza cupa, probabilmente irreversibile, a meno che non ci sia uno scatto immediato in questa stagione. Continua >>

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Gli articoli sono gentile concessione di Claudio Colaiacomo: dal libro Roma Perduta e Dimenticata  Compton Netwon Editori – segui Claudio su facebook o su twitter


Lungo la sponda destra del Tevere, proprio sotto Castel Sant’Angelo, si forma ancora oggi una piccola spiaggia che d’estate si copre di erba e accoglie qualche sparuto pescatore. Qui fino agli anni Settanta si trovava uno degli stabilimenti balneari più noti in città, quello di Rodolfo Benedetti detto Er Ciriola. Non fatevi trarre in inganno da quella spiaggetta, non c’erano né ombrelloni e neppure lettini sulla sabbia. Lo stabilimento si sviluppava sopra due lunghi barconi ai quali si accedeva da una piccola passerella collegata con la terra ferma. Uno era un vecchio battello fluviale inglese, con tanto di ampia terrazza per prendere il sole, ma anche spazi per ballare, spogliatoi foderati di bizzarro velluto rosso e scalette per scendere nel fiume e fare il bagno. Erano i tempi del “biondo Tevere”, che tutt’oggi ha mantenuto il colore biondo dovuto alla tipica sabbia dorata, ma che ha purtroppo perso la balneabilità. Er Ciriola si chiamava così perché era sempre in acqua come un’anguilla, pesce che in dialetto romanesco ha lo stesso nome della forma di pane tutta romana denominata appunto “ciriola”. Continua >>

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SPALLETTI A MEDIASET PREMIUM

È una bella vittoria, che mette un po’ di cose a posto, c’erano troppi discorsi che ci accompagnavano. La squadra andava a fasi alterne e questa vittoria ci permette di lavorare con serenità e fare analisi più dettagliate.
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Gli articoli sono gentile concessione di Paolo Leone: dai siti corrieredellospettacolo.netculturaeculture.it, e settimanale MIO 


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Ombre. Ectoplasmi di un mondo sommerso, personaggi perdenti che si aggirano nel retrobottega dell’esistenza, si palesano sinistramente dietro un vetro bagnato, linea di confine tra una sicurezza effimera, lo scalcinato negozio da rigattiere di Don, e “la giungla” lì fuori i cui suoni arrivano minacciosi come un rombo continuo e lontano sulla scena. Sono le anime inquiete disegnate da Mamet in American Buffalo, sul palco del Teatro Piccolo Eliseo dal 27 settembre al 23 ottobre 2016. Anime di chi è vinto dalla vita, di chi si aggrappa a qualunque cosa possa sembrare un barlume di riscatto, qualsiasi ne sia il costo. Un gratta e vinci dell’esistenza, inesorabilmente destinato al fallimento. Tutto questo è preso, trasportato e adattato dalla bella riscrittura di Maurizio de Giovanni, dalla periferia americana a quella italiana. Napoletana, per la precisione. Scelta assolutamente vincente e convincente. Le ombre non hanno denotazione geografica, sono le stesse in ogni angolo del mondo.

American Buffalo è uno spettacolo bellissimo, il testo conserva le sue caratteristiche, anzi, il lavoro visto in scena al Teatro Piccolo Eliseo ha il merito di elaborarlo senza tradirne l’essenza, ma arricchendolo di colori, sapori e sfumature. Merito sì dell’adattamento ma soprattutto di un trio di attori straordinario, sorprendente, e di una regia attenta, curata nei minimi particolari, che denota la presenza di idee, fatto non sempre scontato. Marco D’Amore si dimostra interprete entusiasmante di un personaggio non facile,‘O professore (Teach nell’originale) e ne esalta le corde ora drammatiche, ora brillanti, con una facilità che rende, quando è così, il teatro una vera goduria. Credibile e bravissimo lui, ma credibili e altrettanto bravi Tonino Taiuti nel ruolo di Don, il proprietario della bottega, e Vincenzo Nemolato, il “guaglione” (Bobby) tuttofare amico di quest’ultimo. Un’armonia in scena che incanta, avvince, e regala ai tre personaggi una loro tenerezza, pur nella drammaticità della situazione e nell’apologia della deriva, come l’ha definita lo stesso D’Amore, che è un grande risultato. Non una storia lontana ma attualissima e profondamente umana, con il calore, lo spessore e le emozioni che il teatro sa regalare quando è fatto bene.

La regia di American Buffalo, dello stesso Marco D’Amore, è la perla che impreziosisce ancor di più lo spettacolo, accompagna e sottolinea con maestrìa la condizione umana rappresentata, in un luogo centro di un universo parallelo, che paradossalmente potrebbe anche essere un’immagine onirica con i protagonisti – ombre che vi entrano e escono e in cui, a tratti, arriva solo l’eco delle loro voci, perse nel mondo reale, nella “giungla lì fuori”. Molto bella anche la scenografia di Carmine Guarino, le luci di Marco Ghidelli e il sound design di Raffaele Bassetti, che con i costumi di Laurianne Scimeni definiscono e completano l’omogeneità del tutto. American Buffalo, nella versione di D’Amore e de Giovanni è l’esempio di come, anche in un classico contemporaneo, le idee e il talento possano offrire qualcosa di nuovo, nuove prospettive, omaggiando intelligentemente un testo di un grande autore come Mamet senza rimanerne prigionieri. Da non perdere. E’ bellissimo uscire dal Teatro Piccolo Eliseo e ascoltare i commenti soddisfatti del pubblico che si appassiona alla storia appena vista. Accade raramente.

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©Bepi Caroli

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