venerdì, Ottobre 04, 2024 Anno XXI


Quell’anno la «Banda Borghetti» si era trasferita in massa in Tevere Laterale. Gianni, Filippo, Teodoro, detto Rino, e Antonello erano inseparabili dagli anni delle scuole medie inferiori e neppure la vita di adulti era riuscita a separarli. Malgrado tutto.
Gianni, il bello del gruppo sempre contornato di ragazze, era professore associato a Scienze Politiche e i suoi amici dicevano che si era scelto quel mestiere per stare sempre a diretto contatto con la carne fresca. In effetti a 35 anni era ancora single e svolazzava di fiore in fiore anche se da un po’ di tempo sembrava aver messo la testa a posto con una collega, la misteriosa Barbara.
Filippo, il secchione, era diventato Notaio. Stempiatosi anzitempo, viveva con sua moglie Federica e una nidiata di bambini. Era arrivato a quattro, ma sembrava non aver alcuna intenzione di fermarsi.
Rino, il poeta, laureato in belle lettere, messi da parte i sogni di scrittore maledetto che coltivava da ragazzo, scriveva ora i discorsi per un parlamentare. Anche lui sposato, ma senza figli, con Francesca.
Antonello, il matematico, quello che al liceo aveva racimolato un numero infinito di colazioni per i compiti passati ai compagni, era invece già titolare di una cattedra di Matematica a Fisica. Sposato con Katy, una bellissima professoressa americana conosciuta in un Master d’oltreoceano, era sempre in predicato di fuggire all’estero. Da anni il loro unico punto di contatto, il momento in cui si incontravano, era rimasto l’Olimpico. Erano emigrati da un settore all’altro dello Stadio, compatti e riconoscibilissimi.
Indossavano, infatti, tutti la medesima maglia della Roma, ogni anno quella nuova, e, incuranti della scaramanzia, prima della partita brindavano alla sicura vittoria con una boccetta di caffè Borghetti.
La Banda Borghetti, appunto, come si erano autonominati.
Malgrado le nuove norme di accesso allo Stadio gli avessero tolto la soddisfazione di poter stappare la boccetta, ora di plastica, e di farla tintinnare. Il loro modo di concepire il tifo era, rigorosamente, al maschile e guardavano con sospetto, se non con palese contrarietà, all’aumento del pubblico femminile. Per loro le donne allo Stadio portano zella, se vengono è solo per guardare ventidue giovanotti in calzoncini e strillano e strepitano come galline.
Nella loro vita privata erano stati chiari: allo Stadio ci andavano da soli, lo Stadio era un luogo da uomini. Anche per quella partita si erano dati appuntamento alla “palla” puntuali. Nessuno poteva e doveva mancare, e il ritardo era sanzionato con cospicue multe, da pagare in Borghetti.
Quella volta fu Antonello a pagare pegno presentandosi con circa una mezzora di ritardo rispetto all’orario convenuto. Per giustificarsi, Antonello, contravvenendo ad una regola non scritta, si lasciò andare ad una confidenza personale. Aveva avuto, in effetti, l’impressione che Katy non aspettasse altro che il momento in cui lui uscisse per andare allo Stadio e la gelosia lo aveva fatto attendere fino all’ultimo momento.
Gli amici provarono a consolarlo con una serie di pacche sulle spalle. Alla domanda se loro avessero avuto problemi con le rispettive compagne ognuno rispose a modo suo. Gianni disse che quella mattina la sua Barbara non l’aveva neppure chiamato. Filippo si disse certo che Federica, sua moglie, fosse a pranzo dai suoceri dove l’aveva accompagnata con i bambini dalla sera prima.
Rino tacque, ma in cuor suo stava rodendosi dalla gelosia. L’episodio fu messo in soffitta con una battuta ed il gruppo entrò nello Stadio facendo finta di nulla. La partita iniziò e la vissero con il solito pathos. Stretti ai seggiolini, senza un grido, mugugnando di tanto in tanto. Quello, del resto, era il loro atteggiamento abituale ed era il motivo per cui erano passati da un settore all’altro.
Non amavano, infatti, quelli che si agitano, che confidano i loro umori al vicino di posto distraendolo dalla visione. Così la loro attenzione fu attirata da un gruppo di persone che, parecchie file più in basso, si agitava scompostamente. Era evidente che si trattasse di un gruppo di amici perché non perdevano occasione per chiamarsi l’un l’altro.
Le più agitate erano, ovviamente, le donne del gruppo che di tanto in tanto si alzavano in piedi unendosi ai cori della Curva Sud.
Fu Antonello che, forse per il malumore, prese l’iniziativa dicendo ai compagni che tra il primo e il secondo tempo sarebbe sceso a dirgliene quattro. Al fischio dell’arbitro, Antonello non aveva ancora rinunciato al suo proposito bellicoso e gli altri cercarono di calmarlo, ma poi si offrirono di accompagnarlo. Si alzarono allora come un sol uomo decisi a passare all’azione. Scesero faticosamente le scale e si trovarono finalmente al cospetto del gruppetto degli urlatori. Non ebbero modo, però, di proferire parola. In mezzo al gruppetto, infatti, in perfetta tenuta da romaniste, scorsero, in amabile conversazione tra loro e con i loro amici, Barbara, Francesca, Katy e Federica. Fu Katy che ruppe il silenzio chiedendo con tono scanzonato e in un italiano incerto: «anche voi qui? Volete un Borgetti?».

Le donne sono streghe e fate
silenzio di occhi vento di ginestra
tutte le stesse gambe accavallate
bambine di cortile
direttrici d’orchestra…
le donne fanno l’improvviso
e uomo tu non potrai mai sapermi
e sono Eve e uve e male e mele in Paradiso
e noi chi siamo noi
i serpenti o i vermi… (i vermi…)