giovedì, Ottobre 03, 2024 Anno XXI


Era un Natale difficile:
le renne avevano la dissenteria e Babbo Natale aveva dovuto pulire tutta la stalla.
Metà degli gnomi era a letto con l’influenza
e gli elfi erano in sciopero per solidarietà con i tacchini.
Poi si era rotta la slitta
e Babbo Natale si era appena maciullato un dito per aggiustarla,
quando entra un angelo e dice:
Auguriiiiii! Dove metto l’abete?!…
Fu così che nacque la tradizione dell’angelo in cima all’albero di Natale!

Natale a RomaSono debitore di questa storiella, che da qualche giorno gira in rete, verso Petra che con un pizzico di geniale follia l’ha inserita un dì sul Sacro Muro.
In effetti questo è un Natale difficile sotto il Cupolone e all’ombra del Colosseo.
La città intera lo vive in una dimensione dimessa come forse non si registrava dai tempi della crisi petrolifera del ’73, ma quelli erano altri tempi, vissuti con una spensieratezza che oggi sembrerebbe insensata o incosciente.
Aristocratica e Popolare, la Roma, core e simbolo della Città Eterna, come recita il motto di Core de Roma, non si sottrae a questo clima e quasi lo asseconda inanellando una serie di prove deludenti.
Allo scialbo pareggio di Livorno ha fatto seguito quello sfortunato (per il Torino) di Torino il quale ha coronato la doppia prestazione rifilandoci un secco 3-1 in Coppa Italia e forse il risultato d’insieme gli sta pure strettino.
Il rinvio a data da destinarsi del recupero di alcuni infortunati come Totti e Aquilani, la vena smarrita di altri, come Amantino e Mexes, il nervosismo e la stanchezza, per non dire la vera e propria frustrazione, che si avverte anche in giocatori che in passato hanno dato prova di solidità caratteriale come Panucci e De Rossi, si combinano in un mix che più che al classico bicchiere mezzo vuoto, rimanda ad una sorta di depressione cosmica.
La squadra intera sembra preoccupantemente allo sbando.
Sono questi i momenti in cui si dovrebbe sentire di più la mano dell’allenatore e invece Spalletti si sta dimostrando incapace di intervenire in quella che lui definì, lasciando perplessi molti, la “psicologia gestibile” di questa squadra.
Il ripetersi del suo sguardo perso nel vuoto, il collo infossato, la testa corrucciata, rimanda più al bambino deluso perché nel pacco natalizio non ha trovato il regalo tanto atteso o a quello a cui hanno appena rotto il giocattolo preferito, che ad un leader che si carica il gruppo sulle spalle in un momento di difficoltà.
Se questa situazione porterà al cambio della guida tecnica non è dato sapere.
Una volta il Natale era il crocevia dei destini degli allenatori, tant’è che il loro esonero coincideva con il motto “non mangerà il panettone” pure se quello avrebbe comunque preferito il pandoro.
La Roma non è avvezza a simili alzate d’ingegno anche perché è troppo fresco il ricordo della sequenza di allenatori che ha preceduto Spalletti portandoci ad un passo dal baratro.
Nessuno ha una ricetta per rendere meno difficile questo Natale, ma forse basterebbe tornare alle cose semplici, nella vita e nella Roma.
Nella vita non disperandoci per non aver accatastato sotto l’albero regali spesso inutili e accontentandoci, piuttosto, di godere di ciò che di vero e di bello abbiamo accanto.
Nella Roma tornando ognuno a fare quello che sa fare.
Voglio sperare che Spalletti non conosca un solo modulo e non abbia un solo approccio alle partite. Se così fosse dovrebbe levarsi discretamente di torno e la fine d’anno è l’occasione giusta per farsi un sano esame di coscienza.
Altrimenti si metta a lavorare e studi, invece di disperdersi in un’attività di inutile comunicazione mediatica che non serve a nulla.
E anche la Società dimostrasse di esserci quando serve iniziando a rimandare al mittente le voci che vogliono i nostri giocatori migliori, l’ultimo Aquilani, sempre appetibili e appetiti dalla concorrenza.
I giocatori trovassero una forma decente da atleti invece di passare il tempo a farsi intervistare o a scegliere le mete più esotiche in cui passare il Capodanno.
In questo momento la loro lentezza è pari a quella di un presepe meccanico di buona fattura nel quale, tuttavia, i movimenti dei figuranti sono ben più coordinati.
E a proposito di presepi viene spontaneo pensare che la Roma quest’anno ha pagato pegno sia all’asinello napoletano, sia al bue torinista, facendo strame solo dei pastorelli laziali.
Così, presepe per presepe, non ci resta che sperare almeno nell’arrivo dei Re Magi auspicando che in mezzo ai tre canonici, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre, s’intrufoli Pradè, che Mago pure non è.
Se loro hanno portato in dono oro, incenso e mirra, a noi, in fondo, basterebbe un centravanti.