sabato, Settembre 21, 2024 Anno XXI


Abbiamo atteso che le urne si chiudessero per non essere accusati della minima strumentalizzazione politica.
Anche se non è certo colpa nostra se le persone del proprietario dell’A.C. Milan e del Presidente del Consiglio dei Ministri, nonché leader del partito di maggioranza, coincidono, con tutte le implicazioni e gli intrecci che questo comporta.
Se sta bene a loro, come si dice, sta bene a tutti.
Domenica 24 maggio 2009 nel settore sud dello stadio Meazza (non chiamatelo Curva Sud, perché la Curva Sud è solo quella nostra) dove si colloca la parte più calda del tifo milanista viene esposto uno striscione.
«Il nostro arresto è in flagranza, il vostro arresto è cardiaco».
Il riferimento alla morte di Antonio De Falchi, stroncato da un infarto a seguito di una vile aggressione dei milanisti in un tristissimo 4 giugno del 1989, è evidente, anche un cieco lo vedrebbe.
Malgrado tutte le televisioni collegate oscurino lo striscione e proprio nessuno dei giornalisti presenti si prenda la briga di commentarlo.
Lo striscione non viene rimosso e non abbiamo notizia che sia stata avviata alcuna inchiesta per identificarne gli autori e consegnarli alla giustizia.
Anche se quello striscione viola almeno una decina di quelle regole che ci hanno imposto per avere il privilegio di entrare in uno Stadio.
Come accadde per la morte di Antonio abbiamo la sgradevole sensazione che chi ha messo quello striscione goda di una sorta di impunità.
Che qualcuno si sia sentito in diritto di uscire allo scoperto dopo vent’anni per dire in faccia a noi, e a tutti, con l’arroganza di allora e di oggi, che «lui può», mentre Antonio no, non può, non può più difendersi, non può più nulla.
Ma noi possiamo.
La nostra prima risposta, civile e composta, l’abbiamo affidata ad un altro striscione.
Nella notte tra il 3 ed il 4 giugno l’abbiamo collocato nei luoghi cari ad Antonio e recita solo: «Antonio Vive» perché un ragazzo semplice e buono, colpevole solo di essere andato in trasferta a tifare la squadra del proprio cuore vive per sempre nella memoria di chi quei colori li sostiene con tutta la forza che ha e di chi ama il calcio sotto qualsiasi bandiera.
Ora, a urne chiuse appunto, vogliamo riprendere il discorso.
Con calma, partendo da un fatto.
In questi mesi si assiste ad una sorta di braccio di ferro istituzionale tra l’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive, col suo corredo di comitati di sicurezza ed esperti di vario tipo, e le società calcistiche per l’introduzione della cosiddetta tessera del tifoso.
L’ultimo tassello, raccontano sul sito dell’Osservatorio, di un progetto di «tolleranza zero» contro il tifo violento, dicono. Lo strumento finale e risolutivo, pare.
Un secondo fatto è che l’A.C. Milan è l’unica squadra di serie A ad aver adottato la tessera del tifoso, con largo anticipo.
Il terzo fatto è che quella tessera del tifoso non ha impedito l’esposizione dello striscione contro Antonio De Falchi, non ne ha assicurato alla giustizia gli autori, non è servita a niente di niente.
Come le tessere omaggio che danno nei supermercati, ma senza sconti o concorsi a premi.
E’ troppo chiedere conto di questo ora?
O si rischia di incorrere nel famoso emendamento D’Alia che determina l’oscuramento dei siti che fanno apologia di disubbidienza alle leggi?
Beh, a scanso di equivoci, diciamo ai solerti funzionari preposti all’analisi dei contenuti di internet che non stiamo affatto incitando a disubbidire ad alcuna legge anche se è una legge inutile come quella della tessera del tifoso.
Ne stiamo constatando semplicemente l’inutilità.
Come possono fare anche loro.
Come possono indagare sulle omissioni di chi doveva intervenire, e non lo ha fatto, contro lo striscione di cui possediamo documentazione fotografica.
Anche se quelle immagini dovrebbero averle già.
Oppure a San Siro quel giorno le telecamere erano bendate.
Come la tessera dei milanisti.
Dopo la Dea bendata, la tessera bendata.
Cambiano i tempi e non ce ne siamo accorti.