giovedì, Settembre 19, 2024 Anno XXI


Giovanna uscì intorno alle sette di sera dallo studio dentistico in cui lavorava come assistente. Ad accoglierla fuori dal portone trovò una pioggia battente e fredda che la costrinse ad aprire immediatamente il piccolo ombrello ed a stringersi ancor di più nel giaccone. Attenta a non infilare i piedi nelle pozzanghere che si allargavano sul piccolo marciapiede, raggiunse con pochi passi la fermata dell’autobus e attese. L’attesa era una costante nella sua vita, e alla fine ne era diventata una muta compagna. Da piccola era l’attesa di diventare finalmente grande e di vivere una vita completamente sua, che la liberasse dall’abbraccio sin troppo protettivo dei suoi genitori, timorosi di perdere la loro unica figlia. Poi era diventata l’attesa per l’arrivo dell’amore, come nei romanzi rosa che ancora divorava. Infine, col passare degli anni, quando si era resa conto di non avere più la voglia, o forse il coraggio, di lasciare i suoi genitori, ormai diventati anziani e fragili, era diventata l’attesa fine a se stessa. L’attesa l’aveva consumata, come e forse  più di una vita vissuta intensamente. Aveva  una trentina d’anni e già si sentiva inesorabilmente vecchia. Attorno a lei sentiva pulsare il mondo fatto di gente fin troppo frettolosa, che divorava il tempo a disposizione cercando di incastrarvi tutto: il lavoro, la famiglia, i figli, le occasioni di svago, mentre lei di tempo ne aveva in abbondanza, o forse non ne aveva affatto, visto che lo consumava così inutilmente. Spostandosi al di sotto della pensilina, per evitare almeno di bagnarsi completamente, sovrappose un piede ad un oggetto luccicante. Istintivamente lo raccolse e tra le sue mani, intatta anche se inzuppata, si materializzò una tesserina grande all’incirca come una carta di credito. La tesserina, non faticò a scoprirlo malgrado la scarsità di luce, era un abbonamento alla Roma, Distinti Nord. Rivoltandola tra le mani fu tentata inizialmente di lasciarla ricadere in terra, ma la coscienza e la buona educazione le impedirono di farlo. Ripose quindi la tessera in una tasca del giaccone, ripromettendosi di rintracciarne il proprietario. Il mattino dopo, nel cercare i fazzoletti di carta, se la ritrovò nuovamente tra le mani, ormai asciutta e completamente leggibile. Non aveva idea di come potesse restituirla e fu il dentista dal quale lavorava, cui confidò l’accaduto in gran segreto, che fece la cosa più naturale: mise un avviso su alcuni siti di tifosi della Roma fornendo il proprio indirizzo di posta elettronica.
Giovanna non ne fu molto convinta, ma non si oppose. L’attesa di una risposta non tardò più di qualche giorno. Si trattava solo di concordare le modalità della restituzione e quando alla fine Mirko, il legittimo proprietario, si presentò allo studio, Giovanna fu presa da una inspiegabile emozione: si era aspettata un ragazzino e invece quello che gli si parò davanti era un bell’uomo di una trentina d’anni.
Il loro incontro fu molto formale e quando lui si offrì di ricompensarla per il gesto lei rifiutò quasi sdegnosamente. Mirko allora replicò che il minimo che potesse fare era di farle vedere di persona quello a cui avrebbe rinunciato se lei non gli avesse fatto ritrovare l’abbonamento e, con grande sorpresa di Giovanna, la invitò ad accompagnarlo allo Stadio il mercoledì successivo, per una partita di Coppa Italia alla quale aveva programmato di andare da solo.
Lei gli disse che ci avrebbe pensato, ma accettò di annotare il numero di telefonino che Mirko le lasciò.
Giovanna lasciò passare solo un paio di giorni, poi prese il telefono e accettò l’invito. Lui le diede alcune indicazioni e si fece inviare per telefax una copia di un documento, per acquistare il biglietto.
La sera della partita Giovanna uscì nuovamente dallo studio alle sette e nuovamente l’accolse una pioggia battente, ma stavolta c’era qualcuno ad attenderla. Mirko le venne incontro con un sorriso e la invitò a salire in auto.
In breve furono allo Stadio e passarono senza problemi i controlli, poi si accomodarono in una Distinti Nord semideserta e praticamente silenziosa, fatta eccezione per un gruppo di scalmanati che seguiva la partita dietro ad uno striscione giù, in balconata.
Il primo tempo passò senza particolari emozioni per Mirko, mentre Giovanna, che non era mai stata allo Stadio, seguiva tutto con grande trepidazione accorgendosi che con il passare dei minuti quel luogo a lei completamente estraneo le stava comunicando una strana energia. Nell’intervallo Mirko si assentò per qualche minuto e ritornò con la coca cola e le patatine sorprendendo ancora una volta Giovanna che non si aspettava una simile gentilezza.
Dopo meno di un quarto d’ora dall’inizio del secondo tempo Mirko, che aveva notato un movimento accanto alla panchina della Roma, le disse con fare complice: “l’attesa è finita, adesso entra un raggio di sole” e dopo alcuni attimi la Curva Sud esplose in un boato per l’ingresso in campo di Totti.
Passò circa un minuto e la Roma andò in gol e a Mirko sembrò naturale abbracciare con grande trasporto Giovanna la quale non rifiutò affatto quel gesto, che trovò, anzi, assai gradevole. Lo stesso gesto quella sera si ripeté per altre tre volte con una reciproca soddisfazione che qualche malizioso avrebbe potuto attribuire non solo alla gioia per la vittoria.
Mirko e Giovanna uscirono dallo Stadio sotto braccio conversando fittamente.
Poi si fermarono in un pub per un panino, intrattenendosi in piccole confidenze, e alla fine Mirko la riaccompagnò fin sotto il portone di casa.
Nel salutarla sfiorandole il viso con una carezza Mirko le disse: “vedi, a volte basta attendere che spunti un raggio di sole”.
Giovanna annuì con un lampo di gioia negli occhi.
Non poteva proprio dargli torto.

Benvenuto raggio di sole
a questa terra di terra e sassi,
a questi laghi bianchi come la neve
sotto i tuoi passi.
A questo amore, a questa distrazione,
a questo Carnevale, dove nessuno ti vuole bene,
dove nessuno ti vuole male.