lunedì, Settembre 23, 2024 Anno XXI


“Che ci fai ancora lì? Dai vieni che si sta facendo tardi”. La voce di Giorgio risuonava in qualche luogo, lontana, ma Federico continuava a guardare il campo ormai deserto, incapace di muoversi. Come in un flashback rivedeva al rallentatore la partita. L’inizio sonnacchioso, quell’andare avanti più per forza di inerzia che per convinzione. Il segno inequivocabile, per lui, che la squadra non avrebbe sfoderato la sua migliore prestazione. Seguendola costantemente si era convinto, infatti, che la Roma, come aveva letto da qualche parte, si poteva interpretare come il tempo, dalle prime luci del mattino. Se entrava in campo spavalda e aggressiva eri sicuro di vedere una partita gagliarda, altrimenti  nemmeno una dose massiccia di caffeina avrebbe potuto risvegliarla dal torpore. La stretta sul braccio di Federico da parte di Giorgio si era fatta insistente, ma lui restava ancora al suo posto. I suoi occhi rivedevano l’infortunio del Capitano portato via nel tunnel senza neppure passare per la panchina e l’ingresso di Amantino con l’aria ormai consueta di chi ti sta facendo un piacere. E poi il gol di Vucinic, forse frutto più di un regalo di Amelia che di una giocata, e il girar palla senza costrutto che, a questo punto della stagione, iniziava a diventare persino stucchevole. Alla punizione di Diamanti Federico si rivide accasciato senza forze sul proprio sedile. Un po’ per la mazzata, perché convinto che stavolta la Roma non fosse in condizione di riportarsi in vantaggio, un po’ perché se l’aspettava, visto che la partita aveva preso la stessa piega di quella di Empoli, un po’, infine, perché nel gol di quel ragazzotto Federico riconosceva i segni di un destino antico. Quello di una Roma capace di trasformare qualunque avversario, per quanto anonimo, nell’eroe della giornata. Una sorta di karaoke calcistico per cui, contro la Roma, anche il più illustre sconosciuto era sicuro di trovare un lampo di celebrità. Il fischio finale l’aveva lasciato lì  in piedi e ancora non si era deciso a muoversi. Prima o poi l’avrebbero portato via di peso. Nella sua bocca, amaro, il gusto del sale. Quello che ti secca la bocca e ti ingrossa la lingua. Lo stesso gusto delle partite con il Lecce e con il Venezia che ancora erano per lui cicatrici da rimarginare. Lentamente Federico si riprese dal proprio stato e, rivolto un ultimo sguardo malinconico al campo, iniziò a scendere le scale al termine delle quali l’aspettava Giorgio che fumava la sua ennesima sigaretta. Federico era silenzioso, ma stranamente calmo. Tutto il contrario di Giorgio che nascondeva dietro la smania di andar via la propria crescente irritazione. Mentre si incamminavano insieme verso l’auto, schivando le automobili e i motorini che cercavano di divincolarsi nel traffico, Federico iniziò a canticchiare a bassa voce sulle note, inconfondibili, di “Sapore di sale” di Paoli. Giorgio, allora, perse completamente la pazienza e gli si fece sotto quasi a brutto muso. “Insomma, mi hai fatto attendere per quasi mezzora, poi te ne esci come nulla fosse e ti metti pure a canticchiare con tutto quello che è successo oggi!”. Federico guardò l’amico infiammarsi e, istintivamente, si scostò di un paio di passi. Alla loro età non gli sarebbe più successo di azzuffarsi come avevano fatto infinite volte da ragazzi, ma non gli sembrava il caso di rischiare perché se  fosse accaduto di nuovo Federico era sicuro di avere ancora una volta la peggio. Guadagnata una certa distanza di sicurezza, Federico rispose a Giorgio con una calma quasi irritante. “Vedi Giorgio, non è che io sia meno arrabbiato o meno dispiaciuto di te, solo che per me questo purtroppo è un film già visto un’infinità di volte, e io seguo la Roma solo da una trentina d’anni. Sul cantare, poi, non comprendo la tua meraviglia, è una vita che mi conosci e sai che io ho sempre bisogno di affrontare i momenti lieti e quelli tristi con una mia personalissima colonna sonora”. “Ammesso e non concesso” replicò Giorgio “mi spieghi che cavolo c’entra Sapore di sale?”. La spiegazione di Federico sembrò a Giorgio talmente amara e stravagante da non ammettere repliche. “Conosci il testo di Sapore di sale? Beh io oggi provo lo stesso gusto amaro delle cose perdute di cui parla Paoli. E poi  quella è una canzone che parla di mare e di spiaggia, no?  Oggi la Roma mi è sembrata una di quelle squadre che si improvvisano sulla spiaggia col più bravo che regolarmente si infortuna, e poi quando è finita si va tutti a fare un tuffo, che tanto si sta in vacanza e il massimo della posta in palio è una bevuta. Doni, poi, oggi era proprio l’aitante ragazzo di Ipanema che si butta così, tanto per fare scena con le ragazze in tanga”.  Federico, imperterrito, riprese a canticchiare…

Sapore di sale, sapore di mare
che hai sulla pelle, che hai sulle labbra
quando esci dall’acqua e ti vieni a sdraiare
vicino a me, vicino a me.
Sapore di sale, sapore di mare
un gusto un po’ amaro di cose perdute
di cose lasciate lontano da noi
dove il mondo è diverso, diverso da qui.
Il tempo è nei giorni che passano pigri
e lasciano in bocca il gusto del sale
ti butti nell’acqua e mi lasci a guardarti
e rimango da solo nella sabbia e nel sol.
Poi torni vicino e ti lasci cadere
così nella sabbia e nelle mie braccia
e mentre ti bacio sapore di sale
sapore di mare, sapore di te.