venerdì, Ottobre 18, 2024 Anno XXI


M’è capitato ultimamente, nell’esprimere il mio pensiero usando i potenti mezzi di corederoma.itte di sentirmi rivolgere con aria di rimprovero (non dico da chi, si dice il peccato, ma non il peccatore) la frase classica del giornalismo nazionale: “eh ma tu che ne sai di giornalismo? tu non sei mai entrato nella redazione di un giornale!”. E solo perché mi sono azzardato a criticare un giornalista per come ha fatto il suo mestiere.
Quel rimprovero evoca luoghi e scene del giornalismo cinematografico americano, da “Prima Pagina” a “Tutti gli uomini del Presidente”, con il cronista insonne che scrive il suo pezzo su uno strapuntino tra rumori assordanti di rotative e puzza d’inchiostro tipografico. Un Paladino armato solo di acume e macchina per scrivere. Insomma, fa il suo bell’effetto.
Ma come tutte le immagini l’effetto dura poco e la replica sorge spontanea: e allora? chi mi impedisce di esprimere il mio pensiero e magari di scriverlo pure? Ma in fondo, viene da domandarsi, questi signori giornalisti chi sono? e soprattutto, che fanno? Andiamo con ordine.
La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo recita testualmente (art. 19) “Ogni individuo ha il diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di non essere molestato per la propria opinione e quello di cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. Gli fa eco la nostra Carta Costituzionale che, all’articolo 21 proclama che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”.
Chissà perché non si menzionano i giornalisti. E’ una svista, una colpevole omissione o un sottinteso? Controlliamo meglio. No, proprio non c’è scritto che l’informazione è affidata in via esclusiva ai giornalisti. La manifestazione del pensiero, la diffusione delle informazioni sono un diritto di tutti. Anche di quelli che non sono mai stati nella redazione di un giornale. E allora, di nuovo, chi sono i giornalisti? La risposta la fornisce la loro legge professionale (e professionale è già un indizio) quando tautologicamente ci fa capire che il giornalista è uno che fa la professione di giornalista. Cioè, per mestiere, esprime la propria opinione o raccoglie informazioni e mette il tutto per iscritto su di un giornale quotidiano o un periodico, ricevendo per questo un compenso. Insomma sa tutto di rotative (ma ci saranno ancora?), di impaginazione, di sintassi, di composizione di testi, di titolazione, di italiano (forse qualcuno però strada facendo se lo dimentica) e tutti i santi giorni o quando gli pare scrive un “pezzo” e qualcun altro, un editore di giornale, glielo paga e glielo pubblica.
Il giornalista si riproduce, come gran parte delle professioni, per clonazione. Nel senso che per diventare giornalisti bisogna fare la pratica in un giornale. Tutto qua. Di fronte al giornalista c’è il lettore. Cioè un cittadino che paga un prezzo per leggere quello che il giornalista ha scritto. Sopra il giornalista c’è un editore, cioè quello che anticipa i soldi sperando che il cittadino paghi per leggere il pezzo. Questo nell’editoria pura. Di quella impura non parlo perché al catechismo mi hanno detto che gli atti impuri sono peccato. Prosaicamente uno scambio commerciale giustamente (o forse no) regolamentato con tanto di accesso alla professione e via discorrendo. Insomma il giornalista, quello vero, c’ha la tessera.
Il giornalista, poiché gode, come tutti, del diritto universale alla libera manifestazione del pensiero, può camparci su, farsi una famiglia, pagare un mutuo, tirare fino a fine mese, insomma lavorare da giornalista. La tessera di giornalista però, non gli ha dato il monopolio universale dell’informazione.
E questo qualcuno stenta a ricordarlo.
A dire il vero ci provano e ci hanno provato a prendersi tutto. Piccole spinte corporative portano, di tanto in tanto, ad infilare in qualche progetto di legge che anche i nuovi strumenti di informazione elettronica debbano essere gestiti esclusivamente da giornalisti. Però fino ad ora gli è andata male.
Perché il diritto di espressione è insopprimibile specie, come diceva Giovenale (che non aveva la tessera dell’Ordine dei giornalisti, ma non scriveva niente male) quando lo scritto nasce dall’indignazione.
Io non sono mai entrato nella redazione di un giornale, non ho mai fatto la pratica e non ho fatto l’esame. Non faccio il giornalista, mi limito ad esprimere le mie opinioni.
A volte mi riesce meglio, a volte peggio. Io non sono giornalista perché lo faccio “aggratis” il che è un peccato (perché due euri fanno comodo a tutti) ma è anche un bel vantaggio.
Perché nessuno mi licenzierà mai, mi ricatterà, mi metterà in un angolo se non scrivo quello che mi dettano o mi pregano affettuosamente di scrivere.
Chi fa qualunque mestiere, lo ammetta o meno, ha un padrone. Anche il giornalista.
Che il padrone si chiami datore di lavoro, editore, politico o il cliente che ha sempre ragione (perché paga, come direbbe Totò) poco importa. Lui tira fuori i soldi e vuol sentire quello che alle sue orecchie suona meglio e vuol leggere quello che gli piace trovare scritto, altrimenti cambia giornale e il giornalista insensibile cambia mestiere.
A me non importa di meno di compiacere. E non me ne ho neppure a male quando vedo che le mie opinioni, le mie espressioni, le mie idee vengono riprese pari pari da chi quelle stesse cose le stampa e poi ci campa. Sempre per la libertà universale di opinione.
Questa mia libertà universale la invoco anche nei riguardi di chi di mestiere fa il giornalista.
Esattamente come posso dire che un piatto è mal cucinato anche se non sono un cuoco, che un vestito è mal cucito pure se non faccio il sarto, che un tizio guida da cani pure se non faccio l’autista.
Perché, purtroppo per loro, la libertà di opinione non risparmia nessuno. Neppure i giornalisti. Specie quando i giornalisti ignorano quello che è sotto gli occhi di tutti o guardano da un’altra parte.
Ultimamente questo strabismo informativo capita spesso, specie per quello che riguarda il mondo del pallone e la Roma in particolare. Dev’essere colpa di una congiunzione astrale.
Prendiamo domenica.
Qual era la vera notizia della domenica pallonara?
Che l’Ambrosiana Internazionale aveva vinto lo scudetto?
O piuttosto che a dispetto delle prescrizioni dell’Osservatorio un gruppo di teppisti avesse violato il divieto di trasferta e a Parma ne avesse fatte di tutti i colori, compreso il ferimento di due tutori dell’Ordine, la devastazione di una scuola materna e che invece di essere assicurati alla giustizia quegli stessi teppisti siano stati fatti accomodare allo Stadio senza biglietto e, per soprammercato, gli sia stato consentito di invadere il campo e di andarsene indisturbati a fare altri danni?
Penso male a dire che se quel gruppo invece che tinteggiarsi di nerazzurro si fosse messo la casacca giallorossa avrebbe tenuto banco sulla stampa per una settimana? Si penso male e me ne scuso, soprattutto ricordando che per settimane la vera vergogna nazionale, il vero teppismo da mettere in risalto sulle pagine dei giornali sportivi è stato un triplo insulto di un giocatore della Roma dopo una concitata azione di gioco ostacolata dall’arbitro.
La vera notizia era che la Roma aveva pareggiato a Catania?
O piuttosto che a dispetto di tutte le regole di sicurezza sia stato consentito ad un altro gruppo di teppisti di circondare il pullman della Roma, infrangere un vetro, intimidire la squadra e i suoi dirigenti e poi assaltare i taxi con i giornalisti venuti da Roma, malmenarne alcuni e trasformare in un incubo una normale partita di campionato per la quale, oltretutto, era anche stato imposto (e osservato) il divieto di trasferta dei Romanisti?
E se queste notizie di contorno (se così si possono chiamare) sono state date solo a mezza bocca o in un trafiletto e con mille giustificazioni, accettando persino la tesi che la scuola materna sia stata colpita per errore (come se colpire lo Stadio fosse normale) chi il giornalista non lo fa può evidenziarlo o deve prima fare due anni di pratica in un giornale, farsi assumere e poi parlare o scrivere d’altro?
Io invoco il mio sacrosanto diritto di esprimere le mie opinioni. Mi appello alla Convenzione di Ginevra (che non c’entra nulla, ma fa sempre un bell’effetto) all’ONU, alla BBC, alla protezione animali.
Senza tessera, né padroni. Finché me lo faranno fare.
Finché in nome dell’informazione qualcuno metterà la censura all’informazione.
E’ già accaduto in passato, succede in molte parti del mondo, purtroppo.
Ma io sono come il gatto nero di Figo.
Ho sette vite e toccarmi porta male.