martedì, Settembre 24, 2024 Anno XXI


Il signor Fandel stava ancora uscendo dal campo e già l’Italia pallonara chiedeva a gran voce la testa di Roberto Donadoni, il “CT io che ci faccio qui”, invocando il ritorno di Marcello Lippi, l’eroe di Berlino. Io che ho sempre criticato Donadoni stavolta ho un moto di istintiva solidarietà per il bergamasco dalla faccia triste. In fondo lui non ha altra colpa che di aver fatto l’italiano, dall’inizio alla, probabile, fine della sua avventura sulla panchina azzurra. Messo al suo posto più per amicizia che per meriti sportivi, grazie alla più italiana delle raccomandazioni, ha condotto la nazionale in questi anni con grande acume. Il suo credo è stato di non dare troppo fastidio ai club, centellinando le convocazioni, e di circondarsi di amici e conoscenti. Poi ha pensato bene di assicurarsi il proprio futuro passando i giorni antecedenti l’europeo concentrato sul rinnovo del proprio contratto che ha strappato sul filo di lana obbligando ora la Federazione ad esonerarlo lasciandogli il suo lauto stipendio o riconoscendogli una sontuosa buona uscita. Non credo che Donadoni ambisse ad altro, e quindi lui il suo europeo a modo suo l’ha vinto. Se poi parliamo di gioco il discorso si fa più complesso. Perché quello la nazionale, a dire il vero, non l’ha mai espresso. Intendiamoci. Il calcio, a suo modo, è un gioco semplice. Vince chi la mette dentro al sacco, e se il gol è il frutto di un’azione corale piuttosto che di una giocata individuale o di una papera del portiere avversario è roba che può interessare gli esteti e non certo i tabellini. Non ho memoria, attenzione e pazienza per ricordare le alchimie tattiche di Donadoni in questo europeo. Mi limito a commentare  l’ultima prova contro la Spagna. E lo faccio solo per smontare la mistificazione secondo cui quella schierata contro le furie rosse fosse l’Ital-Roma, come qualcuno ha detto e scritto. La Roma spallettiana, piaccia o non piaccia, è un’altra cosa. E’ un meccanismo complesso e corale, oliato in anni e anni di ripetizioni e allenamenti, che si fonda sull’idea di fare gol senza “quello grosso che la butta dentro”, ma facendo finta che ci sia. E’ un calcio fatto di inserimenti e di sovrapposizioni che dà il meglio di sé quando può schierare il Miglior Giocatore del Mondo (visti agli europei gli altri aspiranti al titolo lo posso dire senza pudore) che risponde al nome di Francesco Totti, il quale è, allo stesso tempo, la prima punta, il primo negli assist, quello che protegge la palla e quello che si tira appresso la squadra. Un uomo del genere la Nazionale non ce l’ha. Non certo Toni. Lento e fuori forma come non mai. Non Cassano, ormai ridotto al fantasma di se stesso che quando ha fatto due dribbling con la suola si sente appagato e scompare dalla scena. Neppure Del Piero che gioca solo per dare torto a chi lo vorrebbe fuori e, infine, non Pirlo, il vero equivoco di Donadoni. Perché il grande assente contro la Spagna è certo un grande produttore di assist, ma è anche il primo che, se marcato, perde completamente la brocca insterilendosi e consegnando palla alla ripartenza avversaria o facendo fallo. Se con la Spagna era assente è perché ha preso un cartellino giallo più di Daniele il che, per ruolo e temperamento, è tutto dire. Contro la Spagna Donadoni ha messo il centrocampo della Roma, si è detto. Bugia e menzogna. Mai visti nella Roma giocare praticamente in linea De Rossi e Aquilani con Perrotta perso per il campo. Una diga fenomenale di centrocampisti, compreso il mediocre Ambrosini che non vale il nostro Brighi, incapace di recuperare un pallone perchè mal messa in campo e di dettare una ripartenza perchè non c’era nessuno da far ripartire. E che nelle rare volte in cui è riuscita nell’impresa ha consegnato palla a Cassano, che già è egoista di suo, figurarsi quando ha vicino un sellerone incapace di chiudere un triangolo, oppure ha lanciato per lo scatto (scatto si fa per dire) il sellerone che si è regolarmente impicciato nei suoi stessi piedoni. Un pianto vero. Un attacco male assortito e sterile (nessun gol pervenuto da tutti e 4 gli attaccanti schierati in 4 partite), un centrocampo di giocatori fuori ruolo, e una difesa di pura opposizione. Una squadra complessivamente  incapace di tessere una trama di gioco o di rendersi pericolosa. Emblematica, per questo,  la pedatona scomposta di Toni che ha impedito a Grosso di battere a rete nell’unica vera azione offensiva.  Il tutto con il solo e unico obiettivo di arrivare ai rigori senza prenderle prima. Un catenaccio senza contropiede che manco il Livorno di Donadoni, appunto. E ai rigori l’ultima frittata. Daniele, dopo il rigore parato, ha detto: “Se i rigoristi non vanno sul dischetto, ci vado io” senza indicarci, peraltro, chi si è tirato indietro. Complimenti vivissimi a Donadoni che ha deciso (o ha lasciato decidere) a chi risparmiare la figuraccia sapendo, in cuor suo, che figuraccia sarebbe stata. Prima gli amici, come sempre. E un abbraccio al nostro Daniele che s’è affrettato a chiedere scusa. Come se fosse lui il vero colpevole. Come se la mediocrità che l’ha circondato fosse colpa sua. Vattene al mare Daniele, riprendi le forze e il buonumore. Che poi a settembre si ricomincia a giocare a pallone. Con una squadra, la Roma, che oggi come non mai scopriamo così poco italiana. Al più un po’ russa, che avercelo  Arshavin al posto di Perrotta… Lasciala senza rimpianto ai “rigoristi nascosti” la nazionale italiana. La nazionale dei cachi.