giovedì, Ottobre 03, 2024 Anno XXI


Nelle ore in cui il nuovo talento francese poco più che ventenne Jérémy Ménez si affaccia nella Capitale, salutato giustamente anche a livello internazionale come uno degli acquisti più intelligenti e mirati dell’ultimo calciomercato, viene da chiedersi: dove sono?
Dove sono tutti gli uccelli del malaugurio, le vedove amerikane, i tanti profeti di disgrazia che per tutta l’estate hanno detto la loro pontificando sui limiti organizzativi ed economici dell’AS Roma?
Non v’affrettate a cercarli altrove: sono tutti attorno al giocatore, a dirci che l’avevano previsto da tempo, e, accalorati e trafelati, a raccoglierne le prime parole in giallorosso.
L’acquisto di Ménez, che resta una scommessa come può esserla l’investimento su di un giocatore molto giovane e talentuoso, è, per me, denso di significati.
Il primo pensiero non può che andare alla memoria del Presidente Sensi che appena una settimana fa accompagnavamo nel suo ultimo viaggio.
Lui, che ha dato tutto per la Roma, che è stato il primo a valorizzarne i talenti, a cominciare dal Capitano per proseguire con Daniele De Rossi, sarebbe fiero della Roma di oggi e certamente avrebbe approvato il nuovo acquisto.
La Roma che a San Siro sbanda e si riprende, tiene testa per 120 minuti all’Inter dello “special one” (che avrà di special il minestraro portoghese lo ignoro), perde ai rigori a testa alta, ma non arretra di un millimetro.
La Roma che, per il rispetto delle regole, rinuncia a Cicinho.
La Roma che dopo aver incassato la slealtà di Mutu prende almeno due campioni veri.
Il secondo va alla solidità e alla capacità dell’attuale gruppo dirigente romanista, a cominciare da Daniele Pradè, che, nonostante  quel modo di offrirsi al pubblico  sempre un po’ dimesso,  è certo dotato di un talento non comune e di una romanissima “tigna” nel chiudere trattative che, all’apparenza, sarebbero precluse alla Roma. E’ accaduto pochi giorni fa con Baptista, accade ora di nuovo con Ménez.
Il terzo va alla stampa e all’informazione sportiva e non solo. Quella che vuole la Roma trasformarsi periodicamente in un supermarket molto particolare, in cui i talenti sarebbero sempre in vendita a poco prezzo e gli acquisti irraggiungibili.
Il quarto è rivolto al provincialismo tutto italiano col quale la Roma è affrontata e raccontata. Sarà pur vero che nemo propheta in patria, ma questo detto nel caso della Roma raggiunge vette inimmaginabili. Il prestigio della Roma in Europa e nel Mondo è grandissimo. La Roma è ora stabilmente tra i maggiori 5 o 6 club europei e questo senza aver vinto nulla a livello internazionale da moltissimi anni.  Questo prestigio si percepisce da tanti segnali. Dall’universale apprezzamento per Totti, il Capitano conosciuto e ammirato nei 5 continenti e anche nelle lande più sperdute. Dalla corona di fiori inviata dal Barcellona per l’ultimo saluto al Presidente.  Dai rapporti cordiali con club che si chiamano Barcellona, Real Madrid, PSG, Monaco o lo stesso Liverpool. Dal fatto che nessuno dei grandi campioni accostati questa estate alla Roma, e l’elenco è lunghissimo e comprende anche Samuel Eto’o, ha manifestato il proprio rifiuto di accasarsi a Roma, al contrario. Persino Shevchenko pare si sia candidamente offerto nelle ore in cui non era ancora certo il suo ritorno al Milan. Il tutto con una naturalezza disarmante.
Solo in Italia la Roma, pur essendo stata fino alla fine in lotta per lo scudetto ed essendo da un biennio tra  le prime otto d’Europa,  è considerata ancora, specie in certi commenti televisivi,  come una squadra minore, in una sorta di rimozione collettiva sulla quale i grandi della psicologia e della psichiatria potrebbero dire la loro.
Mi piace pensare ai tanti Gazzaniga ai quali l’acquisto di Ménez è andato di traverso, come un boccone amaro sorbito controvoglia.
La giusta medicina per i loro rigurgiti di livore.
A tutti loro il mio più sereno, orgoglioso e soddisfatto: e ora, zitti e a cuccia, please!