giovedì, Ottobre 03, 2024 Anno XXI


Mentre il bravo professionista deve stare sulla notizia, nessuno si potrà inquietare se arriviamo con un paio di giorni di ritardo sul ritiro dalle scene pallonare di Vincenzo Candela: semo tifosi.Tifosi che mostrano diversi livelli di pervasione (no perversione, quella è un’altra cosa).
Ci sono quelli come noi, a cui la Roma se ferma al massimo all’altezza del core, invadendo tutte le frattaglie collocate a latitudini inferiori, e quelli invece pieni pieni a cui la Roma occupa, passando da sotto, ogni minimo anfratto del cervello.
Di quest’ultima famiglia fanno sicuramente parte un paio dei nostri di CdR (che stranamente se chiamano tutti e due Fila) mentre il massimo esponente della categoria è rappresentato dall’Avv. Grassetti.
So quelli, tanto per intenderci, che se ricordano pure di che colore c’avevano l’elastico delle mutande il giorno in cui Pierino Prati segnò al Cesena interrompendo un digiuno che durava da lunga pezza.
Noi siamo invece quelli, sempre per intenderci, magari in grado di evocare, pensando ad una certa situazione vissuta un certo giorno allo stadio, l’odore della frittata fatta da mamma, o der marocco der roscio de un par de file avanti, rimanendo per tutto il resto in un ricordo vago. In una fitta nebbiolina. Ignorando, o meglio, non ricordando il risultato o l’avversario.
Qualcuno potrebbe definirci distratti, i più cattivi potrebbero pensare al fumo del roscio di cui sopra, ma non è così. Siamo solo viscerali.
Tifosi de panza.
Tutto questo lungo e improduttivo sproloquio per raccontarvi il primo flash back di Vincenzo che ci sovviene. Unica cosa buona regalataci (si fa per dire) da Mago G.
Era un pomeriggio buio e tempestoso quando, dopo aver reclamato a lungo di accendere i riflettori al grido de “nun ce vedemo un cazzo”, dal genio creativo che è proprio della genia romanista, partì il coro “Comprace, comprace, comprace Candela, Presidente comprace Candela.”
Se ne parlava da un po’, come ben sapete le trattative della Roma si misurano in ere geologiche, e da li cominciammo ad attendere questo tipaccio che veniva da una squadra sconosciuta, per di più con la fama di aver tradito il rugby per il pallone.
In quegli anni di grande povertà potremmo dire che fu quasi amore a prima vista. In fin dei conti i francesi si trovano bene con noi perché sono già romani ma depressi, mentre noi romanisti ci troviamo bene con loro perché siamo, per via della grandeur, francesi, ma cazzari.
E tra la Roma, i Romanisti e Vincenzo si è creato un legame solido, con gli alti e bassi che sono propri dei sentimenti veri.
Lo abbiamo tanto amato, ci ha tanto amato, e ci ha anche fatto un po’ incazzare, alimentando una sequela di leggende metropolitane che camminavano a braccetto del suo declino inesorabile di grande ex funambolo.
Erano le leggende del Ferrari contro i cassonetti che guidava Zebina, degli amici compiacenti che lo trascinavano via dalle libagioni e dalla nebbia nel cervello, di Capello che s’era venduto al Milan facendolo giocare a Milano dopo mesi che non strusciava una palla.
A noi ci piaceva allora e ci piace ancor di più ora perché ha scelto di rimanere per sempre qui con noi. Diventando romano: e cioè francese cazzaro.
In fin dei conti chi decide di rimanere qui, anche se non fa una grande fatica, un piccolo merito ce l’ha e gli va riconosciuto.
Noi non possiamo capirlo perché siamo baciati dalla più grande delle fortune (romani e romanisti dalla nascita). Peccato che molti non se ne rendano conto.
Adieu Vincenzo Sciampagnone, se ribbeccamo all’Olimpico.