lunedì, Settembre 30, 2024 Anno XXI


Fonte: L’Arena

Verona. «In diciotto ore non si muore per una malattia». Elsa Riva vuole fare chiarezza sulla morte di suo figlio Roberto, il quarantacinquenne di San Martino Buon Albergo morto lunedì al Policlinico di Borgo Roma per cause ancora da accertare. Venerdì sera, come abbiamo raccontato ieri, Roberto era stato con alcuni amici al Bentegodi per assistere alla prima partita in serie B della sua squadra del cuore, l’Hellas Verona, contro il Pescara.

«È tornato verso le 23 ed è andato a letto, ma non ha dormito tutta la notte perché stava male e così la mattina è andato all’ospedale di Borgo Roma». La madre Elsa ripercorre con gli occhi lucidi e la voce rotta le ultime ore di vita del figlio, che da qualche tempo viveva in un’altra casa, distante poche centinaia di metri.

«Quando è tornato, mi ha detto che lo avevano visitato, ma era risultato negativo a tutti gli esami», racconta. «Anche quella notte, però, i dolori non lo hanno fatto dormire». È stato allora che la madre gli ha chiesto di spiegare cosa fosse successo. «Mi ha detto che venerdì allo stadio c’era stata una rissa con i tifosi della squadra avversaria e che poi i carabinieri lo avevano picchiato», prosegue Elsa. «Gli ho chiesto se aveva preso una manganellata. “Altro che una, ne ho prese tante”, mi ha risposto».

Domenica la situazione è peggiorata ancora, tanto che il lunedì mattina Roberto ha chiamato il 118: l’ambulanza lo ha portato di nuovo al Policlinico di Borgo Roma. «Alle 13 mi hanno telefonato dall’ospedale. Mi sono precipitata là: un medico mi ha detto che mio figlio non avrebbe superato la notte». E così è stato: intorno all’una Roberto è morto.

Le cause sono ancora tutte da chiarire: a provocare il decesso del quarantacinquenne potrebbe essere stata la degenerazione di un’infezione interna, ma per la madre la verità è ben diversa. L’uomo, che lavorava con il padre Oreste in una fattoria a Vigasio, aveva alcuni piccoli precedenti penali: in passato era stato detenuto per dieci mesi nel carcere di Montorio e proprio venerdì sera è stato denunciato a piede libero dai carabinieri per resistenza a pubblico ufficiale. «Roberto non era un santo. Anni fa aveva avuto anche problemi di droga, ma ora non ne faceva più uso», racconta la madre. «Ogni tanto beveva qualche bicchiere di vino di troppo ed era spavaldo, ma aveva un cuore grande, è sempre stato buono, generoso, non ha mai fatto del male a nessuno».

La tragedia più grande per un genitore, si sa, è sopravvivere ai propri figli ed Elsa questo dolore lo conosce bene: la sorella di Roberto, appena trentenne, è morta una quindicina di anni fa a causa di una grave malattia. «Quando lunedì ho visto che mio figlio aveva le unghie nere, mi è subito venuto in mente che era successo anche a sua sorella poco prima di morire, e ho capito che anche per lui non c’era più nulla da fare».

Nei prossimi giorni verrà eseguita l’autopsia sul corpo del quarantacinquenne per approfondire le cause della morte: ad assistere la famiglia Riva sarà l’avvocato Antonio Palmieri del foro di Milano. «Anche mio marito vuole fare chiarezza su quanto avvenuto venerdì sera», conclude Elsa. «Lui non voleva che Roberto andasse allo stadio, diceva che c’è sempre il rischio che succeda qualcosa. E, infatti, è successo».

Che strano silenzio! Ci sono stati dei tafferugli a margine di Verona-Pescara, ma non ne ha parlato nessuno… Ancora: è morto un tifoso presumibilmente picchiato dalle forze dell’ordine, ma se ne parla solo a livello locale!

In Italia la legge non è uguale per tutti: se per le forze dell’ordine vige la presunzione di innocenza, per i tifosi vige la presunzione di colpevolezza, e gli ultimi episodi successi per esempio a Padova durante una serata ai Bastioni sono quanto meno indicativi in questo senso… Non solo, ma se poi ci fossero dei forti sospetti sulla colpevolezza dei primi, si passa al “Piano B”: cortina di silenzio!

La morte di Roberto Riva mi ricorda molto quella di Stefano Furlan 27 anni fa: picchiato dai carabinieri e poi denunciato, torna a casa, si sente male e poi muore. Così, come bere un bicchiere d’acqua. Ai tempi ci fu un’inchiesta che comunque portò all’identificazione di un colpevole (che in seguito venne “riabilitato”, ma questo è un altro paio di maniche); qui per ora c’è stato solo il silenzio…

O vogliono farci credere che grazie alla Tessera del Tifoso adesso a Verona non succede più niente?

Visto e considerato che in 27 anni per i tifosi non è cambiato nulla, anzi le cose sono peggiorate, dobbiamo aspettare la Tessera del Poliziotto per avere almeno il diritto di vedere una partita e tornare a casa ancora vivi?

Postato il 01 settembre 2011 da La Padova Bene

Per Corederoma

Paolo Nasuto