sabato, Settembre 28, 2024 Anno XXI


C’è molta retorica attorno al tifoso della Roma (per altro compresibilissima visto l’eccezionale di cui è stato sempre capace). Anche per quanto è successo ieri si potrebbe tirare fuori la storiella del marziano che non capirebbe niente del perché una squadra appena sconfitta in casa contro il Cagliari di Ficcadenti si ritrova applaudita da tutta la sua Curva.

In questi casi la spiegazione che si dà è che “sono cose da Roma”, che “chi non è romanista non potrà capirlo mai”. Vero, ma stavolta non basta. Questa volta non serve per quello che è successo ieri. L’applauso spontaneo, convinto, forte della Sud, il fatto che non si sia levato un fischio da tutto il resto dello stadio, non ha niente del “che sarà sarà” cantato troppe volte dopo le sconfitte, non ha niente dell’orgogliosissimo “non ti lasceremo mai” di un tifoso che s’innamora di più – come ogni vero romantico – quando le cose diventano difficili. Nell’applauso della Sud di ieri e nel morbido rispettoso silenzio del resto dello stadio c’è innanzitutto la consapevolezza di vivere qualcosa di speciale. Qualcosa di colto. Di romantico, sì certo, ma anche di eminentemente costruttivo. E’ un applauso al futuro, non alla sconfitta presente, o alla nostalgia di cose non ancora accadute. Qualcosa di simile si sentiva nell’aria nella primissima Roma Anni 80 di Liedholm, non tanto nella forza della squadra – quella era già praticamente pronta a essere la più forte che il mondo ha visto mai – ma nel paziente e incuriosito amore della gente. Dopo un Napoli-Roma perso 4-0 Nils Liedholm disse che aveva visto una grande squadra e che quel giorno aveva capito di poter arrivare allo scudetto. I famosi paradossi del Barone erano solo un modo malandrino e soave di dire la verità. I tifosi della Roma lo sapevano. I tifosi della Roma lo sanno. Anche Spalletti partì in casa con una sconfitta e quella fu una Roma che innamorò e fece arte per tre anni.

Questa promette persino di più. E non è per Pjanic che è giocatore di calcio come da anni non si vedevano da noi in mezzo al campo, di un’età media che è un’ipoteca di futuro, di un De Rossi più De Rossi che ci sia, di un capitano coraggioso che al 93’ è andato a prendersi la palla sulla sua trequarti, di un Angel scoperto a sinistra, di Bojan che si alza per andarselo ad abbracciare dopo un rosso che sa di “ripicca” e un po’ di “segnale”. Non è nemmeno l’abbraccio di tutta la squadra fatto davanti all’allenatore e in faccia ai giornalisti prima di iniziare, né lo sguardo brillante di quegli stessi giocatori nel post-partita, nelle interviste: è quell’applauso che ci farà grandi. “Imparano più i popoli da una sconfitta, che non i re dal trionfo” ha detto una volta Giuseppe Mazzini. Sulla rivoluzione prendete l’aforisma che volete, però poi lasciate perdere e venite a tifare la Roma perché della rivoluzione ne farete direttamente parte. Scoprireste la poesia di un gol al 50’ del secondo tempo che statisticamente non serve a niente ma che diventa quello della bandiera veramente. Vedreste in zona mista Francesco Totti prendersi il suo piccolo sulle spalle e vi sembrerà di vedere dove andrà questa Roma.

Dopo un Napoli-Roma perso 4-0 Nils Liedholm disse che aveva visto una grande squadra e che quel giorno aveva capito di poter arrivare allo scudetto. Lo presero per matto. La domenica dopo andò a vincere contro l’Inter a Milano.

Articolo tratto da Il Romanista a firma T.Cagnucci

Per Corederoma

Paolo Nasuto