sabato, Settembre 28, 2024 Anno XXI


A volte mancano le parole. Quand’è così è dura. Capita di fronte a un’ingiustizia talmente sfacciata che non sai come e dove iniziare per affermare quello che pure ti sembra doveroso, logico, semplice, elementare. Un’ingiustizia sfacciata può riguardare anche una cosa apparentemente piccola, semplice e persino elementare: quand’è così nella gran parte dei casi vuol dire che stai trattando questioni di principio, e in questo tempo dove conta solo il fine (l’opportunità, il risultato, la riuscita, la carriera, lo spread fra te e un altro) sarebbe meglio proprio non iniziare. Ma in questi tempi c’è ancora chi invece di pensare all’utile, al conveniente, a stare a casa davanti alle televisioni, spendere i soldi nel week end per andare in discoteca o per una gitarella alla moda, preferisce stare con altri simili in carne e ossa, magari al freddo, in un posto semivuoto come è ormai lo stadio Olimpico, tanto più e tanto meno per un Roma-Lecce qualsiasi, di domenica sera alle 20.45, preparare clandestinamente uno spettacolo che non gli porterà né soldi, né riconoscimenti, né scatti di carriera, ma, anzi, niente altro che il rischio di farlo, la gioia di averlo fatto, l’emozione di averlo espresso. Per niente se non per spiazzare. Per dire un sentimento. Una volta quei ragazzi, in quello stesso posto, lo hanno proprio detto: ti amo. Anche quando è così mancano le parole. Tutto questo adesso, da un po’ di tempo, da quando il tempo dei colori e delle stagioni lo hanno fermato i signori del Casms o come Casms si chiama, è vietato.

Domenica sera in Curva Sud hanno fermato dei ragazzi, gli hanno detto che “no, non si può fare”, “non si può entrare”, “verboten” come a dire “i cani qua non entrano”, li hanno multati e gli hanno promesso che gliela faranno pagare, con un bel daspo. E vogliono pure le ricevute. A qualcuno di quei ragazzi sono mancate le parole. Di fronte a una cosa simile si potrebbe rispondere facilmente che invece di fermare o magari arrestare i cosiddetti famigerati “ultrà” si potrebbe pensare di arrestare chi uccide, chi inquina le prove, chi fa saltare i mercati, chi mistifica le verità, chi tradisce, chi fa affari sporchi, chi non paga le tasse, chi parla al cinema, chi fa telefonate false, chi parcheggia sui posti degli handicappati… Quelli intelligenti e preparati alla dialettica, pronti a tutto e con il loro cinismo capaci solo di smontare e non di preparare scenografie, direbbero che questo è “benaltrismo”. Fa fico, significa che stai semplicemente dicendo che “i problemi sono ben altri” e con questa scusa uno si dà alibi e non affronta le questioni. Pensa un po’ è vero: la questione è proprio un cartoncino in Curva Sud.
La questione persino della democrazia, della libertà, della lettura critica di questo tempo può essere anche un cartoncino vietato in Curva Sud. Il divieto di fare scenografie in uno stadio di calcio, il divieto di fare colore, il divieto di stare in piedi a cantare, il divieto di essere liberi di tifare è un divieto alla libertà tout court, a quella della Carte Costituzionali e delle dichiarazioni d’Indipendenza. E’ il divieto alla aggregazione. E’ il no dei governi Scelba. E di quelli di plastica fatti con troie e papponi. E’ il no all’assemblamento. E’ il no allo scambio di idee. E’ il no alla Polis. E’ lo stesso no dell’era prima degli scioperi. E’ il no alle conquiste civili. E, se possibile, è un no persino più grande a tutto questo. E’ un no al sentimento. E’ il no all’abbraccio di chi ti sta accanto e non conosci, e un no a quel “ci fa piangere e abbracciarsi ancora anche se non ci conosciamo”, è il no ai ballatoi di una volta, alla porta aperta di questi tempi dove il vicino di casa è lontano, dove il prossimo è pericolo prossimo, tant’è vero che se ci mettono (li mettono) nella casa del Grande Fratello la logica è quella delle eliminazione, e non dell’aggregazione. Cantare oggi “Aggiungi un posto a tavola” potrebbe essere pericoloso come cantare “Eskimo” di Guccini a Piazza Euclide qualche anno fa. Vale un “Bella ciao”. Ciao Bella. Anzi addio. Il tempo dell’amore è finito.
Ci si sofferma poco, troppo poco, su quel Ti Amo che la Curva Sud srotolò appena prima di un derby. Lo stadio ammutolì tutto. Anche i laziali per un attimo. Fu un boato silenzioso. Per la prima volta in uno stadio di calcio dei tifosi erano riusciti a dire con due parole quello che tutti loro avevano dentro il cuore. Pensate. Quante volte capita? Quante volte succede nella storia, in qualsiasi ambito? Questa è epica.
Guardatelo. Le foto ancora ci sono prima che i signori del Casms o un signor ministro dell’ordine pubblico degno della migliore fantasia di Daniel Pennac provveda a requisirle o a distruggerle: un giorno diranno che non c’è mai stata una coreografia del genere, un giorno diranno che la gente allo stadio non ci andava, faranno vedere le loro verità alla televisioni con l’ultimo ritrovato arrivato giustappunto da San Francisco per farci la fila in venticinquemila a Ponte Milvio.
Una volta eravamo Re. Oggi siamo Tronisti. Non ci sono paragoni con la Curva Sud della Roma. Non ci sono paragoni. Pensate alla grandezza di quell’immagine: c’erano migliaia di persone che tenevano in mano quello striscione. Ti amo. Dai tempi del primo disegno rupestre a oggi, poche manifestazioni di massa possono dirsi così civili e persino emozionanti. E’ una rivoluzione. Quei ragazzi col cartoncino sono i disobbedienti civili di oggi. Sarà poca-pochissima cosa, ma è l’unica in Italia. E lo sono per definizione: la disobbedienza civile è una forma di lotta politica che comporta la consapevole violazione di una precisa norma di legge, considerata particolarmente ingiusta, violazione che però si svolge pubblicamente in modo da rendere evidenti a tutti e immediatamente operative le sanzioni previste dalla legge stessa.
I tifosi della Sud fanno le coreografia non autorizzate e questo è il loro reato. I tifosi di calcio portano colore allo stadio è per questo che vengono puniti. Il cielo stellato sopra di loro è la legge morale dentro di loro. Questa è disobbedienza civile, non siamo all’emancipazione dei neri d’America, a quella indiana con Gandhi, nemmeno all’obiezione di coscienza, ma poco ci manca. Poco ci manca ché tutto finisca.
Se più di mezzo secolo fa ci fosse stata la Tessera del Tifoso capolavori cinematografici, cioè d’arte, come “l’Audace colpi dei soliti Ignoti” non sarebbero stati possibili. Sarebbe mancato l’alibi, la trasferta della Roma a Milano, sarebbe venuto meno quel monologo al commissariato di Baiocchi Giuseppe-Vittorio Gassman (“se domenica stavo a Milano è per l’omonima partita, e sempre Forza Roma”), non ci sarebbe stata la “Domenica della buona gente”. Con le aree dei prefiltraggi non sarebbe stato possibile girare la carrellata più bella e importante della storia del cinema, quella di “Ladri di biciclette”, il film più bello di sempre, fuori lo Stadio Torino dove si giocava Roma-Modena. Roma-Modena fu pure la partita del primo scudetto e se volete della prima vera coreografia in uno stadio. Quel giorno – ci sono ancora le prove, correte a vederle, prima che… – un tifoso portò il primo striscione non autorizzato in uno stadio, c’era scritto: “W la Roma campione d’Italia”. Si chiamava Francesco Lalli, lo fece perché era muto e non poteva dire diversamente il suo amore. Oggi non si potrebbe fare previo fax alla questura. Anche in quel caso mancarono le parole. E’ quello che hanno cercato di dire ancora domenica in Curva Sud. Un sentimento (d’altronde si ama qualcosa e qualcuno, che sia una donna, un’idea, una squadra, quando si tenta di farlo; non c’è amore se non lo dai, se non lo dici, se non lo canti, se non lo mostri, se non rischi il tuo cartoncino nella Sud). La scenografia è parola di popolo in un tempo in cui nessuno parla e si riconosce più con l’altro e nell’altro. E’ un urlo. E’ un atto. E’ una testimonianza contro l’oblio. Agostino Di Bartolomei quella mattina lasciò una foto con una coreografia della Sud.
A volte mancano le parole. In fondo “quegli altri” hanno ragione: non c’è niente di più criminale e fuorilegge, sopra le righe e fuori dai laboratori sociali di controllo, niente di più che sa di sfida e offesa, dell’amore.

Articolo tratto da IlRomanista di Tonino Cagnucci

Per Corederoma
Paolo Nasuto