lunedì, Settembre 16, 2024 Anno XXI



non è facile capire cosa ti piace di un posto, di una persona, di un gruppo quando ci sei dentro. più facile quando ti allontani perché la distanza è come una sottrazione. quanto fa’ quello che c’era meno quello che c’è? fa quello che manca. e manca. manca perché quello che resta non riesce a rimanere vivo senza quello che è stato lasciato dietro le spalle. se mi giro di scatto quello che ho lasciato dietro le spalle per un attimo lo riesco a vedere. è solo un attimo ma forse vale la pena. è inutile far finta di niente, certi momenti sono spartiacque e dividono il tempo in prima e dopo. relegano la vita nel ricordo e regalano alla vita il ricordo. ma se mi giro di scatto stavolta non vedo soltanto un ricordo. “pioggia sul lunotto posteriore e tergicristalli fuori uso, luci arancione negli occhi, autostrada buia, una cabina telefonica imbronciata, un paio di occhiali in arrivo da milano…”. potere della parola. vorrei tornare indietro, tornare indietro per ascoltare fino in fondo il rumore di quella pioggia, per farmi avvolgere fino in fondo da quel blocco maledetto di nebbia e umidità, di insetti, di rane che attraversano la strada, di riso e di ponti di barche sul ticino, che quando ci passi al tramonto ti sembra che puoi morire felice. forse in quel momento in quel posto ci puoi morire davvero felice. ecco perché tanta gente riesce a sopportare l’assenza del sole, ecco forse perché tra tre giorni farò ottocento chilometri per tornarci una manciata di ore. guarda che doveva capitare. guarda che doveva capitare proprio a me che per non soffrire, il cuore me lo ero tolto un decennio fa’. chi vi ha detto di rimetterlo al suo posto. che ne sapete voi di come batte male. tanto poi sono io che me lo tengo. guarda che doveva capitare. “… mercato coperto, camicia da coatto, cappuccino e torta paradiso, shopping da vacanze romane” e perché le olive grosse come noci col mercataro che pontifica su come diventano bianche con la calce? e il circolo bocciofilo con la televisione lontana trenta metri e una folla di vecchi? e le ore passate col culo sul marmo a parlare e parlare di tutto? volevi fare un filmino su noi. perché non lo hai fatto? non te l’ho mai chiesto perché troppe volte ti avevo chiesto qualcosa e troppe volte ero rimasto con in mano un mucchio di parole. ma perché oggi mi ostino a guardarmi dietro le spalle maledettamente più del solito? eppure lo so che non va fatto. forse perché è proprio uno di quei giorni che fanno da spartiacque. non per me in questo caso. per massimo, mio cugino di sette anni. quest’estate sono andato per caso a casa sua. l’ho trovato seduto sul divano, lo sguardo fisso sullo schermo della televisione, in mano un joystick. giocava con la play-station. addosso aveva la maglietta di totti e i calzoncini. ho pensato immediatamente a me quando da piccolo nelle domeniche di inverno giocavo con mio fratello nel corridoio di casa. gli estremi erano le porte. a volte mettevamo perfino gli scarpini e le magliette che ci avevano regalato. a ripensarci fanno ridere rispetto a quelle di adesso. erano delle semplici magliette colorate, attillate, col girocollo. però trasformavano il corridoio in un campo, le mattonelle in erba, un’erba in cui affondare i tacchetti fino a non riuscire più a sentire il loro rumore infernale. sulla finestra di solito c’era la radio. tutto il calcio minuto per minuto. quando qualcuno interveniva per segnalare un goal noi facevamo il replay o come avrei scritto allora replei. quando ho visto mio cugino c’era anche mio fratello e non siamo riusciti a trattenerci dal pensare la stessa cosa. allora l’ho chiamato e gli ho detto: “…ma tu ci sei mai andato allo stadio? … ci vuoi venire con me?”. ieri per la prima volta ha fatto il suo ingresso allo stadio olimpico. aveva addosso la stessa maglietta di quel giorno e gli stessi calzoncini. chissà che non se li sia mai tolti da allora. non credo, ma in fondo a me piace pensare di si. appena fatto l’ultimo scalino dell’entrata è corso verso la balaustra, si è guardato intorno e poi mi ha detto solo:”…che ficata!” ecco perché oggi mi ostino a guardare indietro. perché diciassette anni fa’ capitò anche a me di fare senza respirare quegli ultimi gradini, di vedere quel campo così grande, così verde, così tutto. me lo ricordo ancora quel giorno. la roma giocava col torino e vinse 2-0. goal di ancelotti e di bartolomei se la memoria non mi tradisce. anche ieri è finita 2-0, anche se ora il torino è in B e di fronte c’era il venezia. come facevo allora a non ricordare? come facevo ieri a non farmi trascinare, a non pensare a maria, a lei che quando ti ascolta è come se quello che stai dicendo fosse la cosa più bella del mondo. ti guarda in silenzio e annuisce lentamente. poi si passa una mano fra i capelli e le dita cominciano a scorrere fino ad arrivare sulla nuca. finalmente puoi vederle gli occhi, ma è solo per un attimo. basta un nuovo cenno fatto per annuire e i capelli sono lì ad aspettare di nuovo le dita per continuare a giocare con loro. ancora ricorda kammamuri quando gli disse “sarà il candore della lingua senza peli ma con grande proprietà di linguaggio, sarà la mano che la trappola delle giostre legge come sensuale, sarà che quando mi spiegavi qualcosa ti innervosivi e io mi godevo la scena e non capivo niente comunque di ciò che tentavi di insegnarmi, oppure sarà la materia liquida di cui sei fatto per cui puoi farti la barba e metterti la cravatta oppure ballare come un giaguaro fatto di gin e sei sempre riconoscibilmente tu, sarà come hai gestito quel che mi hai raccontato circa cuori e libertà, non lo so bene cosa sia se tutto questo ti sembra poco, eppure ti assicuro che la pioggia non macchia e anzi a volte è proprio bello inzupparsi persino i calzini”. ridammi la giostra, mi tengo pure le zanzare, ridammi la giostra in cui per la prima volta nella mia vita ho messo cinquecento lire in un aggeggio di metallo per dare un cazzotto ad un punch-ball. così si chiama no? ridammi quello che vuoi, però ridammelo. per quanto riguarda me sarà quello che vuoi ma la prossima volta non aspetterò mai più un altro inverno e un’altra pioggia per inzupparmi i calzini.

kammamuri


Roma, 26 settembre 1998, Stadio Olimpico Roma-Venezia 2-0

Roma: Chimenti 5.5, Cafu 6, Aldair 6.5, Petruzzi Sv (7′ pt Zago 7), Candela 5, Tommasi 6.5, Di Biagio 6, Alenitchev 5.5 (34′ st Di Francesco), Paulo Sergio 5.5 (34′ st Gautieri), Delvecchio 7, Totti 7. (22 Campagnolo, 9 Bartelt, 20 Dal Moro, 23 Conti). All. Zeman 6.

Venezia: Taibi 6, Carnasciali 5.5, Pavan 5, Luppi 6, Dal Canto 5.5, De Franceschi 6, Miceli 6, Iachini 7, Pedone 5 (14′ st Valtolina 6), Maniero 5 (34′ pt Buonocore 6.5), Schwoch 5.5 (41′ st Marangon). (12 Bandieri, 8 Volpi, 19 Zironelli, 23 Brioschi). All. Novellino 6.

Arbitro: Treossi di Forli’ 5.5
Recupero: 2′ e 4′
Angoli: 6-4 per la Roma
Ammoniti: Carnasciali, Iachini, Aldair
Spettatori: 46.8881, incasso lire 1.421.587.000
Gol: Delvecchio 1′ e 14′ p.t.


I giallorossi battono il Venezia. Primo gol dopo 15 secondi
Delvecchio, e la Roma vola Doppietta dell’attaccante in un quarto d’ora, Totti va forte: ecco altri tre punti

Roberto Renga dal Messaggero


immagini by bobodrum