mercoledì, Settembre 25, 2024 Anno XXI


Ce ne sarebbero di sassolini nelle scarpe da togliersi dopo l’amichevole di ieri sera contro l’ARIS di Salonicco. Bisognerebbe andare a cercare uno per uno, citofono per citono, indirizzo email per indirizzo email, tutti quelli che ci spiegavano non più di dodici mesi fa, che per fornire un gioco ad una squadra erano necessari almeno 12 mesi di transizione e forse non sarebbero neanche bastati.

Avevano ragione allora ed avrebbero ragione ancora oggi se fosse stato necessario trasportare la sapienza dei calciatori in una piscina, cambiando la loro educazione da un gioco fatto con i piedi su di un campo ad un gioco fatto con le mani dentro l’acqua. Dal calcio alla pallanuoto. E’ vero, in quel caso forse un annetto sarebbe stato anche poco, anche se, chi lo ha visto giocare a Sabaudia con i pupi ci riferisce di un Capitano ottimo centro boa.

Purtroppo per noi invece si trattava di rimanere nel medesimo ambito. Dare i dettami del gioco del calcio a dei giocatori di calcio. Ma per fare questo sarebbe servito un allenatore capace. In giro ce ne stanno pochi e fortunatamente quest’anno uno è nostro.

Fare l’allenatore non è un mestiere facile. Molti lo fanno stile sergente Hartman di Full Metal Jacket, urlando in faccia ordini ineluttabili. Altri preferiscono uno stile collusivo mentre altri preferiscono vincere gestendo roster da mille e una notte (salutiamo anche la bonanima del povero Carletto che co quasi 150 pippi è riuscito a fa due punti in due partite). Pochi maestri di sport, poca gente con la schiena dritta. Molti tengo famiglia e molti “domani non si sa mai”.

Ma il tempo passa e con esso scivoleranno via tutte le scempiaggini di tanti Fratelli nel Romanismo che si sono fatti trasportare dalla visceralità e dall’avversione irrazionale verso il passato prossimo societario che hanno vissuto come una vera e propria prigione, in questi aiutati anche dai media.

E’ implicito che l’incipit serve solo a ragionare, mettendo da parte qualsiasi rivendicazione perché, anche se ci crediamo tutti davvero poco,  come dice l’adagio popolare, siamo tutti Romanisti.

Diciamo che ci crediamo poco perché il rapporto con la AS Roma trascende quello che può avere qualsiasi altro tifoso di calcio con la propria squadra. Di mezzo c’è la città, incomparabilmente unica. Il nostro amaro disincanto, salvifico quanto assolutamente peculiare. La nostra feroce autoironia e poi, non ultima, l’immedesimazione trascendente nella massa tifosa come cellule di un unico e indissolubile corpo pulsante.

Ma dietro a tutti questi sentimenti, dietro a tutti questi stati d’animo, indirizzati verso la pulsione collettiva, c’è un rapporto di amore singolare, unico e personale. Ciascuno di noi ama la Roma a modo suo e la ama come se la Roma fosse la sua e solo la sua. E come in tutti i rapporti singolari, unici personali, è scontato affrontare in termini di bilancio ciò che si da e ciò che si riceve in cambio. Questo non comporta necessariamente un atteggiamento utilitaristico e un cuore da bottegaio. Chi conosce il nostro amore perché lo frequenta sa che siamo sempre stati e sempre saremo pronti a dare sempre di più convinti che più daremo e più ne avremo in cambio.

Purtroppo la realtà, la nostra realtà ci dice che non è così. Diamo e continuiamo a dare e continueremo a dare sempre e sempre di più perché, e scusate la farcitura di luoghi comuni, al cuore non si comanda. Per questo motivo ieri c’erano quarantamila persone per un’amichevole il 19 di agosto, con metà gente al mare e metà gente senza una lira, e domenica probabilmente ce ne saranno ancora di più.

A questo pensavamo mentre tornavamo a casa pensando e sperando che, nascosto da qualche parte della galassia, esista un totalizzatore dell’amore tifoso. Se esistesse, chi meriterebbe più di noi?

Ci rendiamo conto che il SE NON NOI CHI è cugino poverello del SE NON ORA QUANDO. Quest’anno la solita speranziella fioca si alimenta con mille e mille sensazioni positive. Catania e Inter ci diranno se il vuoto di potere politico ha lasciato, non ostante la permanenza di una solida burocrazia legata all’asse MI-TO,  piccoli spazi al merito come qualche volta è successo in passato.

Se così non sarà dovremo impegnarci, in campo e fuori, per fare emergere la nostra singolarità con i mezzi pacifici di una straordinaria mobilitazione di popolo tifoso.

Ad maiora