giovedì, Ottobre 03, 2024 Anno XXI


Autore: Flavio “l’afgano”

Avevo il mondo a portata di dito e gli impulsi del telecomando cambiavano il mondo; non certo seguendo l’umore, neanche fossi stato un mago padrone di un’improbabile bacchetta magica, solo per caso. Così, solo per caso, ho preso posto nello stomaco vuoto e nel corpo disidratato di una creatura nel paese degli Dei distratti; mi sono messo in coda nelle file, sempre le stesse, interminabili, di uomini che trainano carri e madri e figli, con il fardello della paura a far da motore. Finendo di apprendere una lezione di “buona ospitalità” propinata da una “botulinica” Contessa, invitata di turno a pagamento in un indecente inutile discarica catodica vestita da salotto pomeridiano, mi sono tornate in mente le favole. Le storie degli orchi e delle streghe, principesse ed eroi, raccontate con pazienza antica. In ogni singolo fantastico racconto la morale, più o meno cattolica a seconda del narrante, faceva da faro per le piccole cose della piccola vita. L’invidia e l’ingordigia erano una strega avvizzita mentre la furbizia di una volpe metteva metaforicamente in guardia circa il riporre troppa fiducia nel genere umano. Poi c’erano i maghi cattivi, quelli veri. Quelli raccontati da nonni e padri. Quelli che con le aquile e le croci saltavano i fossi, invadevano campagne e città torturando i sogni di almeno due generazioni, indirizzando e dividendo la nostra. E dai racconti caro Francesco, gli uomini e le donne, i figli e la paura, cosi come i carretti e le file interminabili erano sempre gli stessi. Immerso in questi pensieri e ricordi mi ero quasi dimenticato il luogo dal quale ti sto scrivendo. Un posto come tanti altri dove Dio, o chi per Lui, risulta assente o troppo presente. Un posto dove si può morire in nome di Dio stesso, per mano di uomini che inseguono i loro personali paradisi oppure di fame e, tra poco, di freddo. Giorni orsono, in questo spicchio di terra, ho visto un esserino cosi piccolo che sembrava anche lui uscito da una fiaba. Il viso deturpato dalla lesmaniosi e dai troppi pranzi saltati, indosso larghi pantaloni ed una maglietta (rigorosamente falsa… ci rimetterà il merchandising?) di un rosso sbiadito, la tua Francesco. La “T” e la “I” finale di “TOTTI” tracimavano dalle spalle quasi fino ai gomiti. Non ti nascondo che vedere la maglietta della mia Roma, 6.000 km di distanza dal Colosseo, mi ha inorgoglito cosi come, vederla indossata da un simile bimbo mi ha strappato più di un sorriso, se non una vera e propria risata. Poco dopo però il buon umore è stato sopraffatto da un nuovo e meno piacevole pensiero. Sono stato invaso dal peso della responsabilità, la mia, ma anche la tua, caro Francesco. In questo momento storico, dove l’Italia sembra un paese allo sbando con una profonda crisi politica, culturale, di valori, di dialettica, ci troviamo ancora di più legati all’amore per la Roma e la romanità che esprimiamo attraverso il giallo ed il rosso delle nostre sciarpe, della nostra e della tua maglietta. Fermandosi al solo gioco del calcio ed al tifo tale espressione può sembrare esagerata e profondamente retorica. Tuttavia, essa per molti di noi rappresenta la volontà di appartenere ad un mondo “sano”, sfruttandosi in modo “sano”, eludendo l’umano desiderio di “vincere ad ogni costo”. Per questo abbiamo assistito allo sfascio di calciopoli sospirando di sollievo nello scoprirci estranei. La mia responsabilità è quindi quella dell’uomo comune, non poco importante. In quanto tale l’equilibrio ed il raziocinio devono accompagnarmi ogni momento per non cadere, per non diventare un uomo da poco, un tifoso qualunque. I potenti, caro Francesco, sembrano sempre più potenti ed inattaccabili ed i maghi cattivi, ora istituzionalizzati, saltano i fossi e torturano i sogni, anche quelli apparentemente “leggeri” come l’amore per una squadra di calcio con il solo scopo di rendere conto alla loro follia, alla loro dorata morale schiavitù. Qui Francesco entra in gioco la tua responsabilità. Tu sei la descrizione dei nostri sogni di bambini. Non lo penso con idolatria. Penso alle fiabe già citate. Agli eroi che senza sotterfugi, oscuri piani, arrivavano ai cuori degli uomini, conquistandoli con la dolcezza e la forza, con la coerenza dell’amore consapevole. Anche ora caro Francesco, in questi strani giorni, ci vogliamo sentire rispettati, amati, orgogliosi e consapevoli di appartenere ad un mondo sano, inattaccabile, incorruttibile, altrimenti, non saremmo questo tipo di romanisti. Questa amico mio è la tua responsabilità e non è poca cosa. Se sarai e saremo capaci di continuare in tal senso si potrà anche perdere, senza aver mai perso. Così, quella foglia al vento con indosso la nostra maglietta ed il tuo nome sarà portatore inconsapevole di un messaggio che parla di onestà, pulizia, d’amore.