venerdì, Ottobre 04, 2024 Anno XXI


Nel giorno dei funerali di Gabriele Sandri, Gabbo DJ, aprendo il sito di CoredeRoma mi si è spezzato il cuore.

Al posto della consueta home-page, solo un fondo nero, la foto del murales con la faccia scanzonata di Gabbo e il testo dell’sms mandato a Lorenzo de Silvestri (“ho appena finito di suonare…Ed ora come al solito in partenza…Per portarvi fino alla vittoria…Sempre con Voi”). Affianco una scritta bianca “Nel cielo bianco azzurro brilla un’altra stella…” e, appena sotto, un’altra bianca contornata di azzurro “Ciao Gabriele”.

Null’altro, se non l’invito a scrivere o ad affacciarsi sul Muro.

Vedendo quelle scritte e quell’immagine, tanto vicine alla sua amata Lazio, ho pensato ai mille sfottò cantati all’indirizzo di Gabriele, pur non conoscendolo, durante l’ultimo derby in cui lui, confuso tra i suoi fratelli di fede laziale, era lì, in Curva Nord, a gioire e imprecare per motivi opposti ai miei, ma con le mie stesse emozioni.

Ho pensato che una vita spezzata valesse mille volte questo tenero omaggio da avversari sportivi.

Mi sono sentito fiero di CoredeRoma perché invece di inviare a Gabbo una delle tante corone di fiori, che ora staranno a marcire sotto la pioggia, gli ha dedicato qualcosa di più intimo e di personale: l’intelligenza, la sensibilità, la delicata creatività di chi professa la fede romanista.

Sono certo che questo senso di fratellanza ha accomunato molti di quelli che hanno reso omaggio a Gabriele.

Oltre le bandiere, un unico grande abbraccio ad uno che si è nutrito dei tuoi stessi sentimenti e delle tue stesse passioni.

Ad uno di noi, con una sciarpa di colore diverso.

Ho timore a dire queste cose adesso, a ore di distanza.

Ho timore che la morte di Gabbo sia solo un’ennesima morte inutile.

Molti, sia chiaro, hanno interesse affinché nulla cambi.

Nelle stesse ore in cui tifosi di ogni fede si riunivano commossi e silenziosi attorno a Gabbo, un Ministro dell’Interno di una Repubblica democratica fondata sul lavoro si lasciava andare a proclami bellicosi contro i tifosi-teppisti, riunendoli idealmente in quella che per lui è un’unica categoria.

Come se il mondo variegato delle tifoserie fosse riducibile a quelli che assaltano i commissariati.

Come se gli scontri di piazza seguiti ad una morte per mano di un agente di polizia equivalgano comunque (e per uno che per una vita si è detto socialista poi!) ad una manifestazione di terrorismo.

Nelle ore successive il conclave del mondo del calcio si riuniva, sotto adeguata scorta, in un lussuoso albergo romano per prendere le distanze dai soliti tifosi, dai soliti teppisti, affrettandosi a dire che quello che era successo a Badia al Pino, uno sparo a braccia tese di un agente di polizia contro un cittadino inerme, è stato solo un incidente, non un omicidio, e che loro sono lì come sempre a fare fronte comune contro la delinquenza, invocando, se occorre, anche la benedizione della Santa Sede.

Non mi sembra di aver notato altrettanta fermezza contro l’illegalità quando si è parlato di bilanci e partite truccate, di avversari ammorbiditi, di doping, commessi nelle segrete stanze di quello stesso mondo dorato del calcio della massima serie.

Forse quel giorno ero distratto, non so.

Lentamente il fronte comune dell’indignazione per la giovane vita spezzata sembra frantumarsi in mille distinguo.

Mentre la magistratura, correttamente, prosegue le indagini anche sulla vera o presunta rissa all’autogrill (un giorno, forse, sapremo), qualcuno già affaccia l’idea che quel giovane dalla faccia pulita in fondo in fondo se la sia cercata, quella stupida morte.

Perché chi cerca rogna prima o poi la trova.

Perché, come ha detto con ironia degna di miglior causa quello stesso Ministro dell’Interno di quella stessa Repubblica democratica fondata sul lavoro, la gente all’autogrill si dovrebbe fermare solo per un caffè e non certo per litigare.

Forse quel Ministro in vita sua non ha mai avuto una lite con nessuno, nemmeno per problemi di traffico. Non ne dubito, è una vita che gira con la scorta e il lampeggiante blu e al massimo avrà fatto litigare, con la paletta agitata nel vuoto, quelli che lo scortavano.

Forse per quel Ministro, e non solo per lui, una lite o una scazzottata sono passibili della pena di morte.

Ognuno in cuor suo dalla morte di Gabbo avrà tratto la sua lezione di vita.

Qualcuno si sarà sentito rassicurato delle proprie scelte, quelle del “…lo dicevo io che andare in trasferta è pericoloso”.

Qualcun altro, spero di no, ma mi sento autorizzato a temerlo, starà elaborando chissà quali propositi di vendetta.

Altri ancora staranno solo aspettando che il campionato ricominci, come se nulla fosse accaduto, perché in fondo sono più di quarant’anni che il calcio sopravvive ai propri morti.

La lezione che ne ho tratto io è che ai fatti nostri è ora di pensarci da noi.

Che sono stanco di farmi fare puntualmente la morale da gente che non ha la cultura, la sensibilità e certo l’autorevolezza per farmela.

Dai protagonisti del circo televisivo che guardano compiaciuti l’auditel che si impenna ogni volta che la sparano più grossa.

Dai politici che si autoassolvono da tutto e da tutti e che inorridiscono solo ad una parola: dimissioni.

Da quelli che si dicono tifosi, ma non vanno allo Stadio perché di mischiarsi ai veri tifosi un po’ gli fa senso… “…tutta quella gente maleducata che strilla per un nonnulla…”.

Il mio pensiero è che o i tifosi si fanno parte sociale e pretendono di entrare nelle scelte e nella costruzione delle regole che li riguardano, oppure tutto sarà veramente perduto.

Assisteremo all’ennesimo, inutile, giro di vite e all’ennesima, inutile, raffica di provvedimenti speciali con sfoggio di burocratica fantasia.

Ci faremo da parte, tentando di salvare la pelle, quando qualcuno pretenderà di erigersi ad avanguardia imponendosi con la forza e con lo scontro fisico.

E’ giunto il momento, a parer mio, che i tifosi scendano in campo con proposte serie e meditate.

Fatte col cuore caldo come la passione e con la mente fredda di chi conosce le mille sfaccettature dei problemi, perché li vive in prima persona.

Prima di fermarci di nuovo, a riflettere sull’ennesima morte insensata.

Riprendiamoci la vita! gridavano una volta le femministe.

Una volta, una vita fa.

Marforio