martedì, Settembre 24, 2024 Anno XXI


postiamo l’articolo di Giusi Fasano dal corriere.it

URBINO – Un uomo incappucciato che scappa via: «Mi ha guardato un istante, ho visto che aveva in mano un barattolo…». Quel tizio corre giù per le scale, i salti risuonano nella memoria: «Mi sono detta un sacco di volte che forse potevo scappare, che magari avrei potuto proteggermi un po’ di più». Lo sconosciuto è lontano, Lucia rivede se stessa sull’uscio di casa: «Quello mi ha lanciato addosso il liquido del barattolo. Ricordo la mia faccia che friggeva, rantolavo. Ho fatto in tempo a specchiarmi un istante prima che gli occhi non vedessero più niente. Ero grigia, c’erano bollicine che si muovevano sulle mie guance. Urlavo, urlavo tantissimo. Ricordo di aver tolto il giacchino di pelle per non rovinarlo… come se fosse importante».

Era una sera di tre mesi fa, a Pesaro. Lucia Annibali, 36 anni a settembre, la racconta come un guerriero racconterebbe una battaglia epica. Una lotta contro la violenza e la miseria umana di chi l’ha sfregiata così. Contro l’acido che non è riuscito a deturpare la ragione.
Lucia descrive la caduta, le ferite, la sofferenza, il coraggio. Non la resa. «Non mi arrenderò mai, lo sappia chi mi ha fatto tutto questo. Possono avermi tolto il viso, non la voglia di ricominciare. Sono qui, viva. Ho giurato a me stessa che ce l’avrei fatta e ce la farò».

L’ha giurato la sera del 16 aprile, mentre la portavano in ospedale, l’ha giurato mentre ripeteva alla vicina «io so chi è stato, è stato lui, il mio ex», l’ha giurato mentre sopportava i tormenti di un collirio speciale, ogni tre ore. «Mi dicevo: cascasse il mondo io non posso rimanere cieca come dicono i medici. Sarebbe troppo ingiusto. Avevo gli occhi bianchi, completamente coperti dall’acido, hanno creato una sostanza con il mio sangue e me li hanno puliti, io ci ho messo la volontà di guarire».
Adesso ci vede. Si guarda sfogliando vecchie fotografie. C’è una Lucia sorridente con la madre Lella e il padre Luciano, avvocato civilista come lei. Una abbracciata al fratello Giacomo, più grande di tre anni. Un’altra da piccola in tenuta invernale o un’altra ancora da ragazzina alla prima comunione. «Quella non sono più io» dice. «È la mia ex. So perfettamente che non tornerò com’ero prima, ma ci andrò il più vicino possibile, vedrai».

Sul tavolo è appoggiata la maschera di silicone che porta qualche ora al giorno: «Non è fantastica? Sembro un ladro…». Il resto del tempo ne indossa una di tessuto. Anche la mano destra è ustionata dall’acido e coperta da un guanto dello stesso materiale. Tutto per tenere la pelle schiacciata e avere un buon risultato dopo gli innesti.
È a casa, Lucia. Nell’appartamento dei suoi genitori a Urbino. Ma è un continuo tornare in ospedale, a Parma. Medicazioni, controlli, fisioterapia, massaggi, laser. E nuove operazioni all’orizzonte. «Mi ci vorrà almeno un anno per tornare con un viso, diciamo, armonioso. Adesso non sono un granché, mi rendo conto, ma ho in programma un’operazione per allargarmi la bocca, così sembrerò ancora più umana e finalmente potrò sorridere».

Si vive di piccoli passi in avanti, e ogni volta sembra di aver scalato montagne. Il suo primo ottomila Lucia l’ha conquistato il giorno in cui ha osato chiedere. Era in ospedale da settimane: «Ogni tanto mi toccavo e mi dicevo “sto’ naso… mi sa che non c’è rimasta tanta roba…” sentivo la pelle sottile sottile… A un certo punto, mentre ero ancora bendata, ho cominciato a fare un po’ di domande. Come sarò? E loro: “avrai delle cicatrici”. Ricordo che ho detto: “Definisci cicatrici”. E loro: “Avrai la pelle di un colore diverso, all’inizio non ti piacerai ma poi migliorerai”. Mi sono messa a piangere ma ho scoperto che non potevo farlo. Se avessi pianto avrei potuto rovinare la pellicola che mi avevano applicato. Allora mi sono detta: Lucy, sei adulta, sopporta quello che c’è da sopportare e sono fiera di averlo saputo fare senza fiatare. Lì in reparto sentivo che urlavano dal dolore… Quando avevo voglia di piangere mi saliva una rabbia… non è giusto soffrire per non aver fatto niente, non è giusto che io sia costretta a vedermi così».

Nel suo letto d’ospedale, con gli occhi ancora fasciati e incerti, Lucia sentiva che parlavano di lei in televisione. «Si discuteva del mio caso, del femminicidio. Mi arrivavano le voci che parlavano delle indagini, degli arresti… ho sentito parole al vento che mi hanno offesa. L’albanese che mi ha conciata così aveva precedenti, era stato espulso più volte eppure era a Pesaro a passeggiare liberamente».

Gli inquirenti hanno messo assieme indizi sufficienti per arrestare Luca Varani, un avvocato di Pesaro che aveva avuto con lei una relazione e che secondo l’accusa l’ha perseguitata per mesi prima di ordinare l’agguato a due albanesi, in carcere pure loro (l’incappucciato dell’acido e un altro che ha fatto da palo). «Del mio ex non voglio parlare», taglia corto Lucia. «Posso solo dire che un tempo ne ero molto innamorata e che adesso sto molto bene con me stessa rispetto a un minuto prima dell’aggressione. Almeno è finita tutta quell’angoscia che potesse succedermi qualcosa». Il racconto si interrompe, Lucia guarda le macerie della sua storia d’amore. «Voglio dirti – ed è il messaggio per un Luca che non esiste più – che alla fine non l’avrai vinta tu, emergo io perché sono forte e arriverò lontanissimo, tu resterai per sempre indietro».

Lucia degli ottomila ha scalato la cima più difficile quella volta che ha deciso di guardarsi allo specchio: «Quando sono uscita dall’ospedale ero ancora bendata, un giorno durante la medicazione mi stavano istruendo su come lavarmi. Mi sono fatta coraggio e ho chiesto all’infermiera “senti, avete uno specchio?” Mi sono guardata ma non ci vedevo ancora tanto bene. Come al solito ho fatto un commento stupido. Ho detto “secondo me con la frangia starei molto meglio”. I capelli erano diventati prioritari, la mia identità. Temevano infezioni, ho combattuto per non farmi rapare…».

La prossima montagna sarà da affrontare in mezzo alla gente. L’Everest. Stavolta si sale in vetta per mostrarsi al mondo, a chi vorrebbe sapere o vedere com’è adesso la faccia di Lucia. «Una specie di uscita l’ho fatta l’altro giorno a Pesaro con mia madre e mia zia» racconta lei. «Mi guardavano tutti… Vabbè, prima o poi ci riprovo». Non è cosa facile arrivare in cima