giovedì, Ottobre 03, 2024 Anno XXI


Che Italia esce dall’ideale istantanea scattata al Paese dopo la morte di Gabriele Sandri, nella stazione di servizio di Badia al Pino, sulla A1?Un’Italia annebbiata, sostiene Romaniaco, Professore d’oltreoceano, al quale quel prodigio che si chiama Sacro Muro consente di dire la sua a migliaia di chilometri di distanza.

Pur travolto dall’emotività del momento, e squassato da una bronchite che non mi sta dando requie, d’istinto mi viene di dargli ragione.

I fatti, a dirla tutta, sono tutt’altro che chiari.

Alle ore 12.04 televideo Rai informa di una “RISSA TRA TIFOSI Un morto, forse laziale, in scontro con juventini in area servizio presso Arezzo. Forse raggiunto da colpo pistola”.

Le notizie che seguono subito dopo parlano di un colpo di arma da fuoco, forse sparato da un agente della Polstrada intervenuto per sedare una rissa.

Le immagini, certo di repertorio, mostrano un Autogrill con i pullman di tifosi in trasferta e ti viene di pensare: ecco un altro morto inutile di pallone.

Ti viene di dire, e lo dici, fermiamo il calcio come si è fatto per la morte dell’Ispettore Raciti perché non c’è e non ci può essere distinzione tra i morti, fossero in divisa o con una sciarpa da tifoso al collo.

Gli Stadi raggiunti dalla notizia si mettono rapidamente in fermento, molti tifosi, per solidarietà, levano i loro striscioni, i più restano fuori dagli Stadi per protesta.

Dalla partita di Milano della Lazio, sospesa, parte un corteo spontaneo di protesta di ultras bianconerazzurri che darà occasione di scontri con la polizia e di aggressione agli operatori televisivi.

A Bergamo non si gioca neppure, perché gli ultras in un modo o nell’altro lo impediscono.

Alla protesta del calcio si associano persino gli ultras del derby lombardo di basket tra Armani Jeans Milano e Cimberio Varese.

Per la partita dell’Olimpico la decisione resta in bilico, poi, dopo un corteo spontaneo di ultras laziali e romanisti, viene presa la decisione di sospenderla, ma questo non impedisce altri scontri con le forze dell’ordine, con il solito rituale della guerriglia urbana.

Le televisioni seguono il tutto col compiaciuto voyeurismo che le contraddistingue nei fatti di cronaca nera.

Le notizie che si susseguono, però, cominciano a fornire un quadro diverso da quello iniziale.

Della rissa non si parla più, anzi.

Viene alla luce che forse si è trattato di un esecrabile errore di un poliziotto che avrebbe sparato senza un apparente motivo, senza un allarme concreto.

Emerge che forse stavolta il calcio non c’entra nulla e neppure il tifo.

E’ lecito temere che molto probabilmente, come spesso accade quando la mano omicida veste una divisa, la verità non si conoscerà mai, perché l’istinto di autoconservazione degli apparati è infinitamente più forte di quell’anelito di giustizia insoddisfatta che percorre il Paese da tempo immemore.

Quel che resta di obiettivo è che i mass media, quegli stessi che si autocompiacciono di responsabilizzare i cittadini, hanno gonfiato un triste fatto di cronaca nera collegandolo frettolosamente al mondo dei tifosi in trasferta e, per osmosi, a quello degli Stadi.

Hanno fornito l’innesco e il comburente e il più a quel punto era fatto, perché il combustibile della rabbia ultras o presunta tale è sempre disponibile in quantità industriale.

Se ciò sia da ascriversi a chissà quali oscure trame oppure al semplice protagonismo di chi gonfia le notizie per abitudine, non sposta nulla, e in ogni caso inquieta e allarma.

Quello che resta è una nebbia pastosa, gelida e insinuante nelle ossa e nell’anima.

Quella nebbia che copre sistematicamente il Paese ogni volta in cui, al contrario, ci sarebbe bisogno di piena luce e di trasparenza, nelle notizie e nei comportamenti.

Di quelle che quando la scorgi fuori dalla porta ti viene da dire restiamo a casa al caldo sotto le pezze, tanto la nostra finestra sul mondo è la cara vecchia televisione, l’unico ospite maleducato al quale apriamo in ogni momento la nostra casa.

E questa tentazione mi fa paura quasi quanto la nebbia stessa.

Perché, nebbia o non nebbia, se c’è un lavoro da fare va fatto.

E il lavoro che va fatto è mantenere alto il livello del confronto civile, con un pensiero rispettoso alla memoria di Gabriele Sandri, uscito una mattina di casa per andare a Milano per vedere una partita di pallone e non più tornato all’affetto dei suoi cari.

E’ sostenere le ragioni di chi si sente tifoso senza essere un teppista o un delinquente.

E’ presidiare lo spazio civile di chi crede sia ancora un diritto andare a vedere le partite allo Stadio, in casa e in trasferta, nel rispetto di tutti senza farsi prendere in ostaggio dai violenti.

Prima di ritrovarsi prigionieri a casa propria, illudendosi che sia quella la vera libertà.

Marforio