mercoledì, Ottobre 02, 2024 Anno XXI


Chiunque abbia fatto un po’ di esperienza di vita all’aperto sa cosa vuol dire prepararsi all’ambiente e al clima che si troverà. Non serve essere stati boy-scout o guide alpine per saperlo. A volte basta un po’ di buon senso. E la cinematografia è piena di damine fresche di coiffeur che pretendono di affrontare la giungla coi tacchi a spillo e di irrorare di profumo francese il dorso degli elefanti. Ogni volta che va al Cibali la Roma sa cosa l’attende. Un ambiente infame, col pubblico urlante ad un metro dal terreno di gioco e decine di non addetti ai lavori a bordo campo. La squadra del Catania, coi vari Baiocco, Zenga e compagnia urlante, è tutt’uno con questo ambiente e anche gli arbitraggi, “digiamolo”, s’adeguano lasciando correre sin troppo quello che in altri campi, compreso il nostro, è normalmente sanzionato. Il Cibali è il doveroso contrappasso per i romanisti che fanno professione di odiare il calcio moderno. Perché non c’è nulla di più antico del modo di tifare del Cibali. Con ciò, sia ben chiaro, io non voglio affatto accusare i catanesi. Il bollente catino in cui riescono a trasformare la loro roccaforte è per certi versi un loro merito e se poi a noi lo stesso a casa nostra non è consentito per questioni fisiche e per maggiori controlli non possiamo prendercela con loro. 
La Roma si è presentata al Cibali coi tacchi, anzi coi tacchetti, a spillo forse convinta che il profumo francese delle giocate di Ménez avrebbe ammaliato i catanesi e che col suo fare compassato l’incomodo impegno prenatalizio si sarebbe trasformato in una promenade sur la pelouse, laddove invece i giocatori del Catania stavano in campo con lo stravagante obiettivo di vincere una partita di campionato. Con Morimoto che ha fatto fare a Juan la figura della vecchia signora che rincorre l’autobus passato dritto alla fermata senza attendere che lei finisse di chiacchierare con le amiche, mentre nel nostro attacco un Baptista svagato e smarrito sembrava la trasposizione calcistica di Gloria, la signora ippopotamo di Madagascar. Una Roma snob in fondo convinta che l’agonismo dei catanesi fosse un gesto di maleducazione. I limiti di tenuta mentale della Roma abbiamo imparato da tempo a riconoscerli e anche quest’anno si sono riproposti con ciclica puntualità. Sono come quegli errori di sintassi o quei dubbi di grammatica che ognuno di noi si porta dietro dalle scuole elementari perchè un Maestro distratto o svogliato non ha saputo correggerli.
Il Maestro dei giocatori della Roma è Spalletti e fossi in lui gli accorcerei, e di molto, le vacanze. In fondo una settimana in meno sulle spiagge dorate sarebbe una ben misera riparazione per tutte le umiliazioni che ci hanno fatto patire quest’anno e un gesto di rispetto verso una tifoseria dalla quale si pretende sempre molto, anche quando è costretta dalla crisi a stringere la cinghia.
Personalmente chiudo il 2008 calcistico con l’amaro in bocca per quello che ho visto sul campo di Catania e una gioia tutta personale per la fortuna che mi è stata concessa questa settimana di stringere la mano ad Amedeo Amadei.
Uno che a questa Roma così “signorina” avrebbe ancora molto da insegnare.
Perché la sua Roma scendeva sempre in campo con le scarpe imbullonate. Pronta a darle, oltre che a prenderle.
E la sua fame non era solo una metafora.