domenica, Settembre 22, 2024 Anno XXI


Giovanni s’incamminò lentamente da Via degli Olimpionici, dove finalmente era riuscito a trovare posteggio dopo la “genialata” dei divieti di sosta attorno all’Olimpico, verso Ponte Milvio illuminato dalla tenue luce dei lampioni. La serata, fredda, ma ancora non piovosa, gli avrebbe consentito di prendere lo scooter, più facile da posteggiare, e risparmiarsi la passeggiata verso i distinti sud, ma lui non voleva guidare sotto la pioggia. Perché Giovanni sapeva che attorno alle 22.30, appena finita la partita contro la Sampdoria, avrebbe piovuto. Lo sapeva perché prevedere il tempo era il suo mestiere. A quello l’aveva portato la sua laurea in fisica. A prevedere il tempo per lavoro, anzi per passione. Una passione che divideva con quella per la Roma: abbonato ai distinti sud dal 1986, 23 anni, praticamente una vita. Eppure nessun modello matematico avrebbe potuto dargli la certezza di quello che la Roma avrebbe combinato quella sera in campo contro la Sampdoria del rinnegato “Cassano mettete a piagne”. Un partita che si riprendeva, guarda caso, dopo il nubifragio della fine di ottobre che ne aveva decretato la sospensione dopo sei minuti scarsi e che Giovanni aveva previsto con largo anticipo. In fondo tutto tornava. Preso dai suoi pensieri Giovanni raggiunse e superò i tornelli trovandosi in uno Stadio semivuoto e come al solito i sedili vuoti dell’Olimpico, che lui aveva iniziato a frequentare quando trovare un posto era un’impresa, gli diedero una stretta al cuore. Giovanni sospettava che in fondo la colpa di quei vuoti, di quelle assenze, fosse anche sua, seppure in minima parte. Perché nel terzo millennio della pay-per-view sapere in anticipo che al Tempio avrebbe piovuto era diventato per molti un motivo per starsene a casa, come se la pioggia bagnasse il cuore e il freddo raggelasse la passione. Lui che, incurante del tempo, seguiva la Roma in casa e in trasferta, perché quando gioca la Magica per lui splendeva sempre il sole. La partita iniziò dal punto in cui si era interrotta ad ottobre, con un calcio di punizione per la Roma e proseguì senza particolari sussulti sino alla punizione calciata con una parabola perfetta da Baptista, la Bestia, che s’insaccò alle spalle di Castellazzi il quale non fece neppure il gesto di tuffarsi. L’urlo della Sud contagiò come un terremoto i distinti e Giovanni si sorprese a saltellare tra i suoi vicini. Il freddo pungente e l’umido cominciarono presto a far sentire i loro effetti e Giovanni accalappiò al volo un Borghetti dal suo amico Ahmed, il ragazzo tunisino che faceva la spola tra i sedili con il suo cesto. Il Caffè Borghetti, l’ultimo superstite, pensò Giovanni, di quello Stadio di quando lui era ragazzo in cui il caffè era solo quel misterioso intruglio alcolico che si comprava solo sugli spalti. Il gol della Bestia e il Borghetti fecero rapidamente l’effetto sperato e lo scomodo sedile di plastica blu sembrò a Giovanni assai più accogliente di qualsiasi poltrona. Nessuno, giurò Giovanni a se stesso, l’avrebbe cacciato da lì. Nessun televisore al plasma, nessun replay, avrebbe mai sostituito nel suo cuore l’emozione irripetibile della percezione dello scuotersi della rete a decine di metri di distanza. La Sampdoria si dimostrò presto poca cosa e i numeri di Cassano presero a diventare sempre più patetici accompagnati dai fischi e dai cori di scherno di migliaia d’innamorati traditi. Poi, proprio sotto i suoi occhi vide. Vide la Bestia volare tra le gambe dei doriani come un folletto e scatenare la potenza del suo tiro dove Castellazzi non avrebbe potuto arrivare. E ancora si rinnovò il rito degli abbracci e dell’esultanza del gol che Giovanni avrebbe ripetuto all’infinito senza stancarsi mai. La mano destra di Giovanni corse al telefonino e digitò un sms per Antonio, il suo collega laziale: “sentite male e cambia canale”, scrisse in fretta e furia. Un altro sms lo raggiunse ed era un messaggio di lavoro. Dopo la partita, invece di tornare a casa, avrebbe dovuto raggiungere la sua postazione alla Protezione Civile e mettersi al lavoro. Un perturbazione partita in sordina, quasi sonnacchiosa, si stava improvvisamente scatenando con violenza e bisognava rapidamente prevederne l’andamento. I messaggio non riuscì a metterlo di cattivo umore. Avvisò a casa che non sarebbe rientrato e poi si sorprese a sorridere. Una perturbazione che si scatena imprevedibilmente, pensò. Come la Roma di stasera, come Julio Baptista. La chiamerò “la Bestia” si disse, e ridendo sotto i baffi immaginò la faccia di Antonio costretto a passare la notte al computer per colpa della Bestia. In fondo tornare subito al lavoro dopo la partita avrebbe potuto anche essere divertente.

Soffiasse davvero quel vento di scirocco
e arrivasse ogni giorno per spingerci a guardare
dietro alla faccia abusata delle cose,
nei labirinti oscuri della case,
dietro allo specchio segreto d’ogni viso,
dentro di noi…

(*) Dedicata a Filippo, meteorologo romanista.