Caro Agostino, quando eravamo bambini, fra noi possiamo dircelo, non ci eravamo reciprocamente tanto simpatici. Si sa, quando due pischelletti hanno caratteri simili e caratterini niente male, finiscono per voler primeggiare in tutto: a scuola, nei giochi, quando si tirano calci ad un pallone. La tua squadra, poi, era un’accozzaglia di pippe: soltanto tu sapevi giocare e quando, nelle infinite partite (dall’alba al tramonto) al prato delle cave, lì dietro a piazza Lante, noi di Tormarancio vi seppellivamo di gol in quelle porte fatte coi sassi, non ci volevi stare mai.
Poi però, quando siamo andati al Nagc (le scuole di calcio allora si chiamavano così) dell’Omi, al campo Nistri, allora le cose si rovesciarono. E tutti noi dovevamo rimirare, torvi e anche un po’ invidiosi, le tue evoluzioni magiche, quelle traiettorie della palla imprendibili e precise di quel moretto che, primo semestre ’55. giocava con noi del ’53. E che era il migliore di tutti. Per non parlare della partita che facemmo fra rappresentative dei due professori di educazione fisica della scuola media “Enrico de Nicola”, Continua >>
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