Ieri si doveva andare a chiudere una leggenda. Come chiudere tutto in un contenitore troppo piccolo. Trasformare il sentimento in cronaca e l’Araba Fenice in un falò da spiaggia. Non era un compito facile, non ostante ci si fosse preparati a lungo ma a malincuore, rimandando di giorno in giorno come studenti riottosi e lazzaroni. Poi i giorni arrivano, le scadenze arrivano, gli esami arrivano, i conti arrivano, i presidenti arrivano (vedere il nostro è già un evento in se), gli avversari arrivano, arrivano i nemici, i falsi amici, le anime candide, i coccodrilli neri. Arrivano tutti.
Arrivano i tifosi, quelli che ci sono sempre stati, i tottisti, curioso neologismo creato per dividere minuziosamente il Padre dal Figlio e dallo Spirito Santo (la gemmazione il nostro sport preferito), gli occasionali, i cesaroni, i selfisti e quelli che vogliono esserci adesso o mai più, raggiungendo il Tempio dai quattro angoli dell’orbe terracqueo.
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